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Anno edizione: 2009
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Nel film Shoah di Claude Lanzmann la testimonianza di Abraham Bomba, uno dei parrucchieri adoperati a Treblinka per tagliare i capelli alle donne prima del loro ingresso nella camera a gas, a un certo punto si interrompe: "Troppo terribile". Lanzmann lo invita ripetutamente a riprendere: "Continui, Abe. Deve farlo. È necessario". E alla fine il testimone acconsente: "Va bene, continuiamo". Ciò che rende questo filmun lavoro straordinario è proprio il fatto che "non mette sullo schermo il passato (in Shoah non c'è alcun materiale di archivio), ma il modo in cui oggi lo si ricorda. In altre parole: la questione della memoria non riguarda ciò che è materialmente avvenuto ma le forme e i modi con cui noi costruiamo la storia di ciò che è successo". Il libro di David Bidussa affronta questo stesso tema, aggiornando, però, le domande fondamentali ora da porsi: "Una volta che le voci testimoniali di un evento scompariranno che cos'avremo in mano?" Cosa rimane, dunque, "dopo l'ultimo testimone?". È necessario prepararsi, risponde l'autore, con una nuova "consapevolezza storica attenta alle molte fonti che utilizza e avvertita del fatto che la verità non le appartiene".
Un vicolo cieco che lo studioso tenta di illuminare fin dalle prime pagine del suo lavoro è quel "rispetto" per le vittime e i sopravvissuti troppo definito dalle emozioni e poco costruito sulle ragioni. La questione qui sollevata si ricollega, chiaramente, al significato da assegnare al 27 gennaio, Giorno della memoria. Non è, avverte Bidussa, una data di "commemorazione dei morti", bensì ha per oggetto la memoria dei vivi. Non è neppure "il giorno dell'identità ebraica", perché "riguarda un pezzo della storia culturale dell'Europa" con cui i cittadini europei devono confrontarsi. E con cui per molto tempo non si sono confrontati: una coscienza pubblica del genocidio si è andata lentamente formando solo a partire dagli anni ottanta.
Fra i temi affrontati in questo lavoro vi è poi quello della memoria come "accadimento" e come ritrovamento di "dati". Anche questa è una riduzione che può dare luogo a gravi fraintendimenti: il racconto di un sopravvissuto, ad esempio, "non è solo cosa è successo, ma anche cosa egli ha capito, e dunque come ha reagito e come ciò che è stato compreso successivamente si riflette nella sua memoria e nella sua testimonianza". La lunga biografia di Albert Speer, l'"architetto di Hitler", scritta da Gitta Sereny, per fare un altro esempio, non è certamente "un clone" delle Memorie scritte dal protagonista negli anni di carcere a Spandau, bensì è soprattutto "la cronaca di come un mondo ha tentato di fare i conti con il proprio passato".
Da queste riflessioni è evidente, dunque, come la memoria, al di là della retorica che dice "mai più" e che così banalizza il passato, si offre "dopo l'ultimo testimone" alla problematicità della ricostruzione, al "flusso di domande" che costituisce l'essenza del "mestiere di storico", quando quest'ultimo viene concepito criticamente e non ingenuamente. "La memoria osserva a tal proposito Bidussa non è la registrazione di tutto il nostro passato, ma solo di quello che è ritenuto coerente con il nostro presente. Il mestiere dello storico, e la sua funzione pubblica, si collocano qui: nelle sfide che l'analisi del passato pone al presente".
Giovanni Borgognone
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