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La Massima Città, narrata da un bombaita di ritorno: Suketu Metha è nato in India, ha studiato negli USA e lì ha vissuto fino alla decisione di tornare a Bombay. Resta stupefatto, travolto, affascinato da quella che è diventata “la città dei No”! Dove ottenere cose normali, quotidiane, è quasi impossibile, ma quelle improbabili sono semplicissime: non puoi avere un contratto d’utenza ma puoi fare uccidere qualcuno per 500 rupie.I nuovi governanti sono sfacciatamente corrotti, a differenza di quelli del passato educati ad Oxford e Cambridge, che per una sorta di noblesse oblige (...) si trattenevano dal saccheggiare sfrenatamente l’erario. L’analisi fatta su certi politici indiani, si aggiusta perfettamente al profilo di alcuni molto più prossimi a noi : Thackeray non ha mai letto un libro (....) i suoi punti di riferimento sono i film e i fumetti (…) è a suo agio con le immagini e con le azioni ma non con le idee. (…) un uomo dalla mentalità ristretta che controlla una città immensa (…) Non ha nessuna spiegazione di insieme per i mali della città (…) Non capisce i processi storici. !!! Metha racconta la follia della Rent Act (legge sugli affitti), che spoglia i proprietari della proprietà! La vita delle ragazze della Bar Line forse ballerine, forse prostitute, forse destinate all’infelicità. Racconta le Gangwar e le estorsioni imposte ad imprenditori e divi del cinema, divenute praticamente un sistema di imposta! Tanto che l’Alta Corte di Bombay ha deciso che le somme estorte…sono deducibili dalle tasse! Racconta il cinema, onnipresente, onnipotente, unico vero veicolo culturale dell’India moderna, quasi una nuova Upanishad! Una Bombay folle ma reale, narrata bene e senza pregiudizio, da parte di un cronista onesto e anche un po’ innamorato. Mi è piaciuto molto. Ringrazierò sempre Rossana di avermelo consigliato.
Bellissimo libro-reportage che descrive la pazzesca città di Bombay. Libro “denuncia” della corruzione e delle connivenze tra politica, delinquenza e forze dell’ordine. Non so se il paragone possa essere calzante al cento per cento ma si potrebbe definire come il “Gomorra” indiano, ed a mio parere è nettamente superiore all’omologo italiano, dal puro punto di vista letterario. Il libro è scritto bene, molto scorrevole, complesso per la serie di personaggi che vengono presentati e di storie che vengono raccontate ma si riesce sempre a seguire il filo narrativo (al contrario di quello che mi è successo leggendo “Gomorra”).
Chi ha scritto che Maximum City è una sorta di Gomorra indiano? Veramente quella persona ne aveva letto i due? Che un paio di volte nel presente romanzo l'autore, riesca a dipingere bene la città e i suoi abitanti (o forse io ho riconosciuto personaggi, situazioni e luoghi che avevo scoperto nel straordinario Giochi Sacri di Chandra che vi consiglio) non si può negare. Però la mancanza di una struttura narrativa chiara lo fa perdere quel valore e lo rende un romanzo pesante. Non c'è un filo di Arianna che coinvolga al lettore, il libro diventa un andiriviene continuo tra ricordi, esperienze personali, personaggi che raccontano la loro vita per filo e per segno fino alla noia, e fatti politici che, se non si conosce bene la storia dell'India, uno non riesce a identificare e sistemare cronologicamente grazie al caotico racconto che l'autore ci regala. Alla fine, non si vede l'ora di arrivare alla pagina 540. Tutto ciò scritto con uno stilo letterario monotono e con descrizioni semplici e a volte ovvie. Sempre ho pensato che paragonare libri e scrittori non serve a niente, ogni storia, ogni scrittore é un universo particolare e il suo valore è unico per se stesso. E sopratutto nessuna opera deve essere paragonata a un autentico capolavoro. Detto questo soltanto aggiungere che Maximun City non somiglia Gomorra, non ricorda Gomorra, non ti colpisce e attrappa come Gomorra, ... Consiglio a chi decida di andare avanti e leggere Maximum City di farlo senza aspettarsi qualcosa di molto stimolante forse cosí potrá scoprire il meglio di queste per me deludente rittrato di Mumbay.
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