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Anno edizione: 2010
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Letto in sequenza con il precedente "L'alba di un mondo nuovo". Ritrovo gli stessi personaggi (padre, madre, il figlio Alberto) e gli stessi luoghi (il falansterio ferroviario di Piazza Tuscolo, il galleggiante sul Tevere del Dopolavoro Ferroviario). Temevo le ripetizioni, ma ce ne sono poche. Il libro è relativamente breve, comincia prima, con la nascita dei genitori, e finisce dopo, con la loro morte. In più, c'è un felice contrappunto ironico dell'Autore, che serve anche a smorzarne la forte partecipazione emotiva. "Scrivo queste ultime righe il 15 luglio 2009: oggi, per la prima (e unica) volta in vita mia, ho la stessa età che aveva mio padre il giorno in cui se ne è andato: ossia settantacinque anni e duecentonovantacinque giorni" (pag. 127). La madre, vedova e sola, col figlio che chiede ai collaboratori stupiti: ma non esiste una scuola per i figli che devono curare i vecchi genitori? Il padre: il duro confronto con il suo lento scivolare nella perdita di sé: "depressione endogena", curata con i mezzi degli anni sessanta, una psichiatria "dura", con lunghi ricoveri in clinica. A margine, mi viene da pensare al duro compito del figlio unico, solo responsabile del benessere residuo e possibile dei genitori finché sono vivi, della loro memoria quando sono morti.
molto bello a parte uno stile a volte inutilmente complicato, resta il grande amore per Assunta e Alessandro, la fragilità senza di loro, la descrizione della vita, la vita vera la solitudine del figlio unico rimasto solo Bravo Asor Rosa come sempre
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