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Fra due omicidi - Aravind Adiga - copertina
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Descrizione


A volere dare credito alle guide turistiche, Kittur - città immaginaria, ma fin troppo reale, che sorge sulla costa sudoccidentale dell'India, circa a metà strada fra Goa e Calicut - è un centro di grande interesse storico, in cui convivono pacificamente uomini di religioni, razze e lingue diverse. Ma a osservare le cose più da vicino, ci si accorge quanto sia drammaticamente difficile viverci. Della stazione ferroviaria le guide parlano diffusamente: non dicono però, che è qui che vive Ziauddin, un giovanissimo musulmano spedito in città dai genitori senza un centesimo in tasca; dorme per strada, è maltrattato e ricattato da tutti a causa della sua religione, sino a quando un tale, non inizia a pagarlo perché tenga d'occhio i treni adibiti al trasporto di soldati; il suo sussulto di rivolta gli costerà caro. Al maidan dedicato a Jawaharlal Nehru, è invece facile imbattersi in una specie di santone che sta sempre appollaiato su una balaustra spartitraffico e si nutre piluccando in mezzo agli escrementi animali. Si chiama Keshava, e un tempo era il re dell'autobus numero cinque, un vero diavolo quando si trattava di rubare passeggeri alle compagnie concorrenti. Poi c'è Cool Water Well Junction, la zona elegante della città, dove in un cantiere edile lavora il padre tossicoma di Soumya: la bambina assiste alle sue umiliazioni e nella vana speranza di un gesto di affetto, passa la giornata insieme al fratellino a chiedere l'elemosina per potere cosi comprare al padre la dose quotidiana di crack.
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Dettagli

2010
19 gennaio 2010
288 p., ill. , Rilegato
9788806200985

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Fra
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Bellissimo, crudele, come la lotta per la sopravvivenza in questa moderna India ancora regolata dal sistema delle caste. Da leggere.

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Voce della critica

Guida turistica davvero singolare, il nuovo libro di Aravind Adiga presenta un'India con ben poche attrattive per gli stranieri. Eppure, si raccomandano ben sette giorni per conoscere Kittur, piccola città di provincia dello stato del Karnataka, e visitarne i luoghi "notevoli", come la stazione, il mercato, il porto, il cinema, la scuola: la stazione, un luogo buio e sporco, infestato di giorno dai cani randagi e di notte dai ratti; la zona portuale, dominata da un antico banian che si ritiene dotato di poteri miracolosi, sempre affollata da lebbrosi, paralitici, mendicanti; la foresta di Bajpe, unico polmone verde della città, abbattuta per fare posto a un gigantesco stadio: "Un Sogno Divenuto Realtà per Kittur", così registra con sarcasmo la guida. La città, babele di lingue, culture e fedi religiose, potrebbe essere un paradiso interculturale, invece è dilaniata dalle intolleranze reciproche tra musulmani e indù, e vanta un alto tasso di criminalità.
Asse portante della narrazione non è dunque Kittur con le sue ordinarie bruttezze urbane, quanto l'intreccio di storie degli abitanti, i loro sogni frustrati, le loro solitudini e la miseria senza scampo. Gli omicidi del titolo, l'assassinio nel 1984 di Indira Gandhi e quello di suo figlio Rajiv nel 1991, restano eventi esterni alla vita della città, notizie che porteranno a un incremento di vendita dei televisori e al lutto cittadino di due giorni. Ma non cambieranno niente nella vita della povera gente che si arrangia in lavori spesso umilianti, sopportando soprusi e brutalità d'ogni tipo. Un'India non troppo diversa da quella descritta nel brillante romanzo di esordio di Adiga, premiato con il Man Booker Prize nel 2008, La tigre bianca (Einaudi, 2008; cfr. "L'Indice", 2009, n. 3), amara parabola della nuova India, che narra l'ascesa di un miserabile conduttore di risciò di Bangalore, Balram, poi diventato autista di un ricco uomo di affari, e infine imprenditore. Uno che ce l'ha fatta, vero protagonista di un paese dal volto nuovo, aggressivo e sicuro di sé, che offre a ognuno delle opportunità. Ma non è questa la morale della storia. Balram ha capito che, in un mondo dominato dalla corruzione, c'è solo un modo per farsi strada, entrare a far parte della schiera dei corrotti. Così, ha ammazzato il padrone e ne ha assunto l'identità. È questa la filosofia amorale della "tigre bianca", il ragazzo destinato a una misera sorte che non si è rassegnato a stare al suo posto.
Echi della rabbia di Balram si ritrovano in varie vicende della nuova raccolta, tutte varianti sul tema della corruzione, vero sport nazionale in cui gli indiani eccellono: "Noi indiani siamo campioni del mondo in tre discipline: mercato nero, contraffazione e corruzione. Se fossero discipline olimpiche, l'India vincerebbe sempre oro, argento e bronzo", afferma il proprietario di una piccola fabbrica, strangolato dalle tangenti. Travolte dal mare della corruzione, stentano a rimanere a galla persone come Ziauddin, il bambino abbandonato dai genitori che deve imparare a cavarsela da solo nella giungla urbana; gli orfani Keshava e Vittal, immigrati dalla campagna che per dormire per strada, tra escrementi e cumuli di spazzatura, devono pagare il pizzo a un boss locale; il giornalista che crede nella verità e la cerca di notte per le strade; e Chenayya, che non si rassegna al lavoro di facchino per un negozio di mobili, e ribolle di rabbia impotente contro padroni e politici. Chi ha mai fatto qualcosa per loro? Persino Gandhi, quello che andava in giro vestito come un povero, rimugina Chenayya, "cos'aveva fatto Gandhi per i poveri?".
Alle storie imperniate su un discorso di classe si intrecciano quelle sui conflitti castali e religiosi. In una di queste un ragazzo, figlio di un affermato professionista bramino e di una donna hoyka, mette una bomba a scuola in segno di protesta contro le discriminazioni di casta. Nessuno crederà alla sua confessione e il suo resta un gesto inutile, nichilista. Eppure, nella giornata dell'orgoglio e della promozione sociale hoyka, casta cui appartiene il 90 per cento degli abitanti della città, lo stesso ragazzo non riesce a fare causa comune con loro, perché si sente diverso, unico, una casta a sé. C'è poi la storia del musulmano Xerox, venditore di fotocopie illegali di libri, un'occupazione perseguita dalla legge. Figlio di un pulitore di merda dalle case dei ricchi, lavoro riservato alla sua casta, vede il proprio riscatto nell'occuparsi di libri piuttosto che di escrementi. E preferisce i ripetuti arresti piuttosto che arrendersi.
Il talento giornalistico di Adiga, l'attenzione al dettaglio, la scrittura veloce, ironica e spesso irriverente, raccomandano la lettura di questo volume. Dopo i tanti romanzi indiani di ambientazione borghese, esportati sul mercato occidentale, spesso opera di scrittori trapiantati negli Stati Uniti, finalmente uno scrittore che dopo molti anni all'estero oggi risiede in India e che non ha paura di rivolgere l'attenzione ai molti problemi irrisolti del suo paese.
Paola Splendore

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Conosci l'autore

Aravind Adiga

1974, Madras (India)

Giornalista e scrittore, dopo avere soggiornato in vari paesi - fra cui l'Australia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti - attualmente vive a Mumbai. Ha iniziato la carriera professionale come giornalista finanziario nella redazione del Financial Times, poi come corrispondente del Time in Sud Asia, diventando in seguito freelance. La Tigre Bianca (Einaudi, 2008) è il suo primo romanzo, e grazie ad esso ha vinto il Man Booker Prize 2008. Fra due omicidi è edito da Einaudi nel 2010, L'ultimo uomo nella torre nel 2012.

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