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La legge dell'odio
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La legge dell'odio - Alberto Garlini - copertina
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legge dell'odio

Descrizione


Per il ventenne Stefano Guerra la violenza è bellezza e l'odio una legge nuovissima e antica. C'erano anche lui e i suoi camerati a combattere contro la polizia in un lontano giorno del 1968, in Italia, a Roma, a Valle Giulia. Da quel giorno la vita del giovanissimo neofascista coincide con l'illusione della rivoluzione e l'asservimento reale a ogni potere, fino alla strage. E mentre prosegue il suo percorso di carnefice, sempre più disilluso, intorno a lui si snoda una storia che non avevamo mai letto. La storia segreta delle trame nere in Italia negli anni dal 1969 al 1972. Una storia che si apre oggi a prospettive sconfinate e inquietanti.
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Dettagli

2012
24 gennaio 2012
814 p., Brossura
9788806203320

Valutazioni e recensioni

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Recensioni: 4/5
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gianni
Recensioni: 1/5

Molte pagine sono solo un'illustrazione del macabro fascionazi-antipensiero, che si appoggia su una cupa, miserabile visione della vita come di una lotta perenne fra cani e gatti o fra animali feroci (come scrisse Benedetto Croce del nazismo). Il resto è una traslitterazione delle vicende della strategia della tensione, con infilato in mezzo un romanzo meno che mediocre. E anzi, tutto questo sproloquiare di onore, fedeltà, destino, sangue, lotta, forza, gerarchia e via dicendo sembra perfino compiaciuto, affascinato dai suoi stessi toni deliranti. Il grande romanzo delle stragi non è questo. Lo stiamo ancora aspettando. Forse, invano, considerato a chi danno di solito lo Strega o altri diplomi stellati, buoni giusto a ad animare serate di gala.

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giannicola
Recensioni: 1/5

Questo libro mi ha lasciato perplesso. Lasciando perdere alcune improprietà evidenziate da altri lettori che sono ben presenti nel libro e che sono sfuggite agli editori in fase di revisione, la storia lascia trasparire qualcosa di personale, come se l'autore conscio di un suo passato di adesione all'ideologia fascista volesse quasi scusarsi con il suo pubblico, non riuscendoci, perchè non emerge mai una condanna netta a quel periodo. L'ambientazione è decisamente bella e curata, ma l'insieme di storia e linguaggi diversi risulta spesso pesante e affaticata tanto da chiedersi se valga la pena di continuare a leggere il libro. Conoscendo Garlini come organizzatore della splendida manifestazione Pordenone Legge sorge anche la domanda di come mai i suoi libri escano sempre per case editrici in cui c'è Giulio Mozzi a selezionare i testi. Siamo certi che l'Italia non possa fare a meno di questo scrittore e giornalista?

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LUCAMILANO
Recensioni: 3/5

Ho letto che ha diviso la critica fra detrattori e sostenitori, forse più numerosi i primi, io sono sicuramente tra i secondi. La trama mi ha conivolto, e l'autore è riuscito a farci respirare l'aria di quegli anni e da quella prospettiva, strada facendo lo spartito è andato in crescendo, poco importa se alcune teorie sono confutabili, se ci siano evidenti semplificazioni storiche, e se il personaggio sia talvolta un pò forzato.ci sono indubbiamente dei limiti,ma non dei peccati mortali, il fascino sepolcrale di quegli ambienti,si avverte, la storia tiene, in ogni suo set (dal veneto a roma al sudamerica passando per l'Afghanistan), non è romanzo criminale ma funziona.

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Recensioni

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Voce della critica

La legge dell'odio, ambizioso romanzo di Alberto Garlini, aspira a collocarsi alle altezze della parte migliore del genere noir raccontando la prima stagione dell'eversione nera – dal 1968 a Piazza Fontana fino alla strage di Peteano – da un punto di vista eccentrico: quello di Stefano Guerra, militante neofascista la cui romanzesca biografia sembra ricalcata su quella di Vincenzo Vinciguerra (mentre la figura del deuteragonista Franco Revel suggerirebbe accostamenti con Stefano Delle Chiaie). In questo modo, La legge dell'odio si propone come un Italian Tabloid che allude a Romanzo criminale di Giancarlo De Cataldo: questo si è imposto come il testo definitivo sui rapporti tra malavita e potere, quello aspira a essere il romanzo definitivo sull'avvio della strategia della tensione; ma ammicca anche a Le benevole di Jonathan Littell, torrenziale discesa nel maelstrom del nazismo effettuata dall'ufficiale SS Maximilien Aube. La critica si è divisa sulla riuscita dell'operazione di Littell, segnalando comunque la pericolosità del materiale, che andava maneggiato con cura (e non saremo noi a dire se Littell vi è riuscito). Su Romanzo criminale il successo di critica ha talvolta oscurato la profonda conoscenza dei meccanismi della tragedia classica, il sottile lavoro di sperimentazione linguistica e la capacità dell'autore di nominare o alludere alla vastità eterogenea dei materiali. Sta di fatto che, costretti dal prodotto letterario in sé prima ancora che dalla bandella editoriale, a fronte di queste pietre di paragone è non solo inevitabile prendere atto del fallimento di La legge dell'odio, ma è necessario indagare le ragioni di questo scacco. Garlini, come detto, sceglie il noir come genere nel quale far coincidere un certo uso della lingua e un determinato trattamento dei dati, integrando le tramas putridas (i marci stracci) della storia patria con la trama figurae (l'ossatura) del romanzo. L'autore non è però all'altezza del lavoro sulla lingua che altri hanno portato avanti: dal lavoro sul linguaggio cronachistico, con lo slittamento della percezione temporale (descrizione just in time dell'oggetto-contesto del giornale, che viene fruito in tempo reale) che confligge con l'aspettativa del lettore, orientata sul tempo lungo della trama; all'uso chirurgico della paratassi come continua sottrazione che apre vuoti di senso da far riempire al lettore, o spazi in cui inserire gergalità vernacolari, citazioni spiazzanti, uso paronimico dei dialetti; fino alla costruzione di figure allegoriche. La lingua di Garlini, al contrario, è quanto di più scontato possa darsi nella scrittura di genere: paratassi ordinaria, scarsità di consecutive o secondarie – insomma, quanto si aspetterebbero di trovare in un noir quei critici che i noir non li leggono, ma li suppongono. Le inserzioni linguistiche, che dovrebbero innestarsi sulla struttura ordinaria creando un passaggio dal linguaggio medio a quello "alto-retorico", sono prese di peso dal meglio (cioè dal peggio) della letteratura fascista, a partire da Julius Evola; ma anche qui l'operazione ha l'effetto di presentarci figure stereotipate che recitano Evola come i Salmi i farisei: come se avessero il rotolino di Cavalcare la tigre pendente davanti agli occhi. Fatto è che in un buon noir i protagonisti non sono Tipi Ideali: il noir immette nella trama del reale dosi massicce di individualità, di singolarità, senza comporre una figura generale, un simbolo universalizzabile, una metafora buona per tutte le stagioni. Il noir, per dirla con Deleuze, mostra "l'intera società nella più alta potenza del falso". I personaggi di Garlini sono invece stereotipi privi di spessore e psicologia, a partire dalla caratterizzazione sessuata: l'eroe, sul quale l'acqua bollente della doccia scivola sulla pelle come le labbra di una vergine (sic), è perennemente in erezione, al traino di una metafora banale che, reiterata, diventa comica; le donne sono meri oggetti sessuali sempre a disposizione della turgida verga del Maschio Fascista. È probabile che ciò fosse, nelle intenzioni, finalizzato all'espressione del punto di vista fascista, che dovrebbe provocare, immaginiamo, un moto di disgusto nel lettore: ma se lo strumento comunicativo è manchevole, l'effetto è o il comico involontario – "amo le tigri perché coltivano la mia indifferenza" – o, peggio, la comunicazione, in assenza di una presa di distanza stilistica da parte dell'autore, del punto di vista fascista come "oggettivo". Lo sfondo tragico che dovrebbe sorreggere il tutto diventa un piatto fondale sul quale scorrono figurine di cartone, macchiette imbevute della retorica della "parte sbagliata della storia"; ma lo stesso può dirsi per la figura di Giangiacomo Feltrinelli-Mengaldo, per la cui raffigurazione Garlini recupera i più triti stereotipi da rotocalco; o per Bruce Chatwin, catapultato in una quarantina di pagine afghane dalle quali apprendiamo che anche l'intellettuale nomade dopo aver mangiato fagioli rutta, e dopo aver pisciato non si lava le mani. Ma questo sfondo è la Storia, che reclama i propri diritti: a partire dalla documentazione, e dall'intenzione dell'autore, che manipola materiali di cui non possiede le chiavi, finendo con il prendere per buono quanto letto per dovere d'informazione. Esemplare è la favola di Avanguardia Nazionale a Valle Giulia, basata su una storica foto nella quale si vede sì un drappello di neonazisti, alcuni dei quali riconoscibili – ma, per l'appunto, giusto una ventina: pochini, per fare di loro non dei semplici infiltrati, ma uno dei centri propulsori dell'intera contestazione. Il movimento del Sessantotto, entro il quale i movimenti sono sempre composti da "cinesi", sempre infiltrati da fascisti e servizi segreti, è qualcosa di cui Garlini non coglie, o comunque non riesce a rendere, le cause, le ragioni, l'ampiezza e la portata: scompare non solo il reale, con le sue dinamiche e i suoi conflitti, ma anche quella dialettica tra il potere e gli sconfitti che, alludendo alla risoluzione del conflitto di classe, costituisce secondo Manchette il nerbo del noir. Questi limiti interpretativi ed espressivi precipitano in una ricostruzione della strage di piazza Fontana secondo la tesi del doppio attentato (con Valpreda depositario di una prima bomba ma ignaro della seconda collocata dai fascisti) esposta da Paolo Cucchiarelli in Il segreto di Piazza Fontana, mastodontico volume (pubblicato dopo la morte di Valpreda) che pretenderebbe di rovesciare verità storiche coincidenti con le verità giudiziarie appoggiandosi sulla capocchia di spillo di un ex funzionario del Sisde e di un misterioso "mister X", "un fascista operativo, uno che sapeva". Una tesi, scrive Adriano Sofri, che riduce "la mole infame di manipolazioni depistaggi provocazioni e delitti di corpi e uomini dello Stato all'unico fantomatico segreto di cui lui è il segretario: il Raddoppio [di bombe e attentatori]", e che Corrado Stajano ha liquidato come "una palla al piede". E che però Garlini fa propria, con il solo effetto di aumentare quell'impressione di nebbiosa indeterminazione, quella notte in cui i gatti son tutti bigi e, nell'indistinguibilità di vero e falso, restano solo "il verosimile, l'inverosimile e le varie gradazioni della menzogna": che il narratore ben si guarda dall'affrontare. Compito del narratore che s'avventura in queste lande dovrebbe essere quello di lasciare intravedere almeno una delle scaglie del Leviatano: accrescere la fumara che lo avvolge è un gesto, politico ed etico oltre che letterario, reazionario. Gerolamo De Michele

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Conosci l'autore

Alberto Garlini

1969, Parma

È nato a Parma nel 1969, vive a Pordenone. Ha pubblicato Una timida santità e Fútbol bailado per Sironi editore; Tutto il mondo ha voglia di ballare per Mondadori e, nel 2012, La legge dell'odio per Einaudi. È tra i curatori della manifestazione culturale Pordenonelegge. Nel 2017, con Mondadori, pubblica Il fratello unico. Un'indagine di Saul Lovisoni e nel 2019 Il canto dell'ippopotamo.

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