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Ora penso che anche a quindici anni lo avrei trovato puerile e noioso. Nonostante i protagonisti crescano e invecchino, continuano a ragionare e a dialogare da adolescenti. Per ben duecento pagine ho cercato pervicacemente il senso per me di questa lettura, ma soprattutto, non mi capacito di come diavolo ho fatto, nel corso di questo ultimo settennio, ad apprezzare Murakami in quei tre/quattro libri dei tanti (troppi) suoi che ho letto. Se lo avessi letto ora per la prima volta, non esiterei a definirlo uno scrittorucolo come tanti e non mi spiego questo - che percepisco come il maggior abbaglio letterario, il più grande granchio che abbia mai preso nella mia 'carriera' di lettrice - se non con un sorprendente (salutare e vantaggioso) cambio della mia chimica cerebrale. E ne ho ancora uno (After dark) intonso in libreria: che sia direttamente da termovalorizzare?...
Romanzo delicato e poetico che tratta dei sentimenti del protagonista attraverso le varie epoche della vita, dall'infanzia, poi adolescenza e infine da adulto. Nel libro affiora il pensiero della morte e la rassegnazione di un passato che non ritornerà. I personaggi rimangono avvolti in un alone di mistero. Il lettore deve lavorare di fantasia per immaginare il non detto. Ho trovato le descrizioni degli incontri amorosi un po' troppo espliciti e particolareggiati, comunque mai volgari. Nel complesso mi é piaciuto.
Dopo aver letto Norwegian Wood ho voluto conoscere più a fondo questo scrittore e mi sono immerso nella lettura di questo secondo romanzo. Come prima considerazione mi pare di poter affermare che Murakani adotta in entrambi i racconti uno stesso schema narrativo. C'è una moglie stabile e ancora sicura e due donne amanti misteriose e avvolte da un'aura di sogno e che determinano nel protagonista maschile una sorta di desideri mai completamente esauditi. Ritengo comunque che in questo secondo racconto la penna dell'autore, specialmente nel tratteggiare il tormentato e sublime rapporto con l'amante Shimamoto, raggiunga vette espressive di grande pathos, che coinvolgono intensamente il lettore.Ottimo libro.
Recensioni
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Nascere la prima settimana del primo mese del primo anno della seconda metà del ventesimo secolo era stata davvero una strana coincidenza. Per questo motivo i genitori avevano deciso di chiamarlo Hajime, letteralmente “inizio”. La vita di Hajime sarebbe stata simile a quella di qualsiasi altro bambino della sua età se anche lui avesse avuto dei fratelli. Essere figli unici nel Giappone dell’immediato dopoguerra era considerato un fatto insolito e molto spesso era motivo di esclusione, per questo Hajime non poteva fare a meno di avvertire un profondo senso di inadeguatezza, sentiva di essere mancante e incompleto rispetto ai suoi compagni e ciò acuiva il suo senso di solitudine.
L’unica persona con cui riusciva a condividere la sua eccezionalità era Shimamoto, una bambina da poco trasferitasi nella sua scuola e anche lei figlia unica. Shimamoto era gentile e rispettata da tutti, ma aveva un difetto alla gamba che la rendeva leggermente claudicante, proprio per questo il maestro aveva affidato a lui il compito di prendersene cura. Fra loro si era subito creata un’intesa reciproca e il fatto di essere entrambi figli unici li aveva uniti moltissimo: i pomeriggi trascorsi a parlare e ascoltare musica volavano via come il vento e il tempo per stare insieme non era mai abbastanza. Così, Pretend you are happy when you are blue it isn’t very hard to do (Fingere di essere felici quando si è tristi non è poi un grande sforzo) come cantava Nat King Cole, mano nella mano con Shimamoto sembrava davvero possibile.
Tuttavia la vita insegna che se non si è abbastanza determinati le circostanze possono risultare fatali, e così era accaduto anche ad Hajime e Shimamoto. Finite le elementari avevano preso strade differenti e avevano finito per perdersi di vista.
Hajime si era iscritto al liceo e lì aveva conosciuto la sua prima ragazza; una volta terminate le scuole superiori si era trasferito a Tokyo per frequentare l’università e lì aveva partecipato alle manifestazioni studentesche. Dopo la laurea aveva lavorato in una casa editrice, fino a quando a trent’anni aveva conosciuto sua moglie, si era sposato ed era diventato padre di due bambine; grazie al sostegno economico di suo suocero poi era riuscito ad avviare un’attività redditizia della quale era molto contento. Era felice, eppure sentiva di non essere veramente se stesso: a guardarla da fuori, aveva l’impressione che quella non fosse effettivamente la sua vita, quanto piuttosto l’esistenza che qualcun’altro aveva preparato per lui. In tutti quegli anni Hajime aveva accumulato esperienze: aveva amato, sofferto e fatto soffrire, aveva sbagliato e cercato di imparare dai propri errori, ma il ricordo di Shimamoto e della felicità piena che aveva provato con lei non lo avevano mai abbandonato. A distanza di tanto tempo continuava ad essere pervaso da una sensazione di vuoto e di nostalgia per ciò che aveva perso: il pensiero dell’esistenza che avrebbe potuto vivere con Shimamoto e che si era lasciato sfuggire si era trasformato in un dolore sottile ma profondo.
Tutto ha un inizio, un centro e una fine, l’esistenza di ciascuno di noi è destinata a seguire inesorabilmente questa parabola. Ce lo ripetono da sempre gli storici, i filosofi e, a partire da una certa data, anche i romanzieri. A ben guardare anche Murakami in A sud del confine, a ovest del sole si serve dello spazio del romanzo per tratteggiare l’arco temporale di un’esistenza - quella di Hajime - scandita metaforicamente da questi tre momenti. Eppure lo scrittore giapponese va oltre, e sembra dirci che, indipendentemente dalla possibilità che l’inizio e la fine possano ricongiungersi, ciò che davvero conta è il centro, lo spazio di tensione/estensione massima che la vita raggiunge e l’accumulo di esperienze che permette a ciascuno di riconfigurare la propria esistenza e attribuirgli un significato diverso, nuovo, finalmente maturo. È solo così - vivendo il centro - che quando venticinque anni dopo la vita concederà loro la possibilità di rincontrarsi Hajime e Shimamoto potranno ricongiungersi.
Ripubblicato con una traduzione completamente rivista, A sud del confine, a ovest del sole è un romanzo intenso, delicato, realista al punto da risultare talvolta tagliente, malinconico e puro, ma proprio per questo di una bellezza che non può essere ignorata.
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