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Anno edizione: 2016
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Mah?! Un Thomas Bernhard dei poveri?! Non so! A mio parere c'è un solo bel racconto: "Per sempre lassù". Il resto è quasi un delirio solipsistico e molto molto noioso anche se, di uno che sa scrivere. Idee poche, confuse e annacquate di una marea di chiacchiera che probabilmente si pretende funzionale. Cronache di delirio!
Mì sono accostato a DFW leggendo questo libro, ed immediatamente dopo ho divorato Infinite Jest. Dire che Brevi Interviste è un libro semplice, come io pensavo, è completamente sbagliato.....pur se scritto in gran parte con la tecnica delle domande/risposte il libro non ha nulla di semplice e DFW non è di sicuro un autore per tutti, ma nemmeno vuole esserlo. Brevi Interviste ci mostra uno spaccato della società americana intriso di ironica tristezza, in qualche caso di rassegnazione, in qualche altro di leggera speranza, o quantomeno di una possibile via d'uscita all'imbarbarimento di cui è preda la società americana, ma non solo quella americana purtroppo! Ovviamente è un libro che consiglio, io l'ho adorato sin dall'inizio, ma avverto anche che il titolo inganna.....e' un libro molto profondo che necessita di tempo e concentrazione per essere letto e compreso soprattutto.
Contorto e volgare, questo testo apparirà ancor meno piacevole tra le mani di lettori attenti e poco devoti a contenuti di puro stampo tecnico. Non essendo io uno di questi, non posso certo affermare di averne condiviso o appoggiato l’intento (qualunque esso fosse), né tantomeno lo stile. Una delusione.
Recensioni
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«La persona depressa viveva un terribile e incessante dolore emotivo, e l'impossibilità di esternare o tradurre in parole quel dolore era già una componente del dolore e un fattore che contribuiva al suo orrore di fondo.»
Brevi interviste con uomini schifosi è uno dei molti racconti raccolti nel volume, un racconto spezzato in tre parti distribuite in modo equilibrato tra gli altri testi. Non è il primo della serie, ma arriva dopo tanti altri capitoli di una sorta di unicum in cui i personaggi che via via si alternano sulla scena non si distanziano molto da quelli schifosi e volgari "intervistati" (in forma di domanda-risposta) sui loro rapporti con le donne.
C'è l'intellettuale, il poeta americano vincitore del premio Nobel di La morte non è la fine, breve ma interessantissimo racconto che inaugura il volume, in cui la forma narrativa è paragonabile a un brano musicale con molte varianti, che, pur ritornando continuamente all'origine e riproponendo la medesima "aria" sulla stessa armonia, ogni volta allarga il tema ad altri strumenti che si sommano ai pochi iniziali, aggiungendo tasselli di conoscenza e finendo in un crescendo orchestrale.
C'è il ragazzino de Il diavolo è un tipo impegnato, che apprende dal padre una grande lezione di vita: gli oggetti usati che non si utilizzano più è meglio venderli a poco piuttosto che regalarli, la gente è molto più contenta di pagare qualcosa e pensa di fare un ottimo affare. Un insegnamento sicuramente utile in tante occasioni stigmatizzato dal padre con la frase: "non puoi insegnare a un porco a cantare".
C'è la coppia di Pensa, una ragazza e un uomo sposato alle prese con l'incomunicabilità anche in una situazione trascinante.
C'è la figura tragica del padre di Sul letto di morte, stringendoti la mano... che, giunto alla fine dei suoi giorni, rievoca con orrore, disgusto e rancore la nascita e la crescita del figlio, tanto disprezzato e ora nuovo "giovane commediografo Off-Broadway" di successo: "se aveste visto quello che ho visto io lo avreste soffocato con il cuscino tanto tempo fa credetemi".
Un personaggio sconfitto dal suo vittimismo e autocompatimento, in Ancora un altro esempio della porosità di certi confini, rappresenta la fobia incondizionata dell'uomo moderno (in questo caso il terrore ingiustificato nei confronti della cecità) e ricorda, molto, alcuni degli "idioti" raccontati da Ermanno Cavazzoni.
Una madre (una figura femminile in un mondo di uomini) che in Il suicidio come una specie di presente viene descritta come una donna nevrotica e interiormente tormentata, ma che di fronte al figlio si trasforma in essere amorevole e tollerante, troppo, troppo, tollerante...
Protagonisti astiosi, stressati, spesso al limite del crollo, incapaci di reali rapporti interpersonali. Si ritrova il minimalismo di Carver, esasperato però nella visione pessimistica della società americana contemporanea, amplificato in una ricerca linguistica sperimentale e diversificata (quella del suo maestro, John Barth), trascinato nella direzione di una denuncia più drammatica e meno "letteraria" dell'evoluzione della civiltà occidentale. Wallace sta lentamente scalando le classifiche di vendita, la sua fama colpisce non solo il pubblico statunitense, ma anche i lettori europei. Forse perché l'omologazione, la globalizzazione sta portando anche qui le medesime dinamiche sociali americane denunciate allo scrittore. Ma il suo successo non può essere dovuto esclusivamente a questo. È importante sottolineare come anche lo stile narrativo di Wallace sia originale e centrale nella sua opera. Come scrive Fernanda Pivano nell'Introduzione: "Il primo a essere sorpreso del suo enorme successo è Wallace stesso, che lo definisce una schizofrenia di attenzione e considera la sua carriera una delle più rispettate sperimentazioni letterarie della sua generazione".
Recensione Di Giulia Mozzato all'edizione Einaudi 2000
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