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Terra mobile. Atlante della società globale - copertina
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Terra mobile. Atlante della società globale

Descrizione


La globalizzazione ha rimesso in primo piano il globo, cioè la Terra, come se, ormai stanco, Atlante fosse fuggito abbandonandolo fluttuante nello spazio. Alla sicurezza stanziale garantita dallo Stato si è sostituita l'infinita mobilità di conoscenze, capitali, merci e persone. Una mobilità non soltanto fisica ma anche cognitiva: riferita cioè allo stato del pianeta e al rapporto fra natura e razionalità tecnica, ma pure alla forma trans-locale, trans-nazionale dei saperi, della conoscenza, dei processi istituzionali necessari a fronteggiare la crisi profonda che si è aperta. L'attuale dimensione globale del mondo impone un nuovo orientamento nel pensiero. Parafrasando Cocteau, è come se il Minotauro avesse inghiottito il labirinto. "Terra mobile" parte da qui, proponendo al lettore un nuovo approccio al tema dello spazio non solo da parte delle discipline territoriali ma anche del pensiero giuridico, che vede lo spazio sfuggire alla tradizionale dimensione regolativa nazionale e internazionale, del pensiero sociologico che ha sin qui ragionato per strutture sociali endogene, del pensiero filosofico, geografico, storico e antropologico. "Terra mobile" è un atlante per pensare e agire dentro l'attuale, confusa transizione globale, coniugando pluralità di punti di vista e unità di obiettivi, e si avvale dei contributi di sociologi, filosofi, geografi, giuristi e storici.
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Dettagli

2014
25 marzo 2014
VII-294 p., Brossura
9788806219796

Voce della critica

  L'idea originale del libro curato da Paolo Perulli si basa sulla proposta di coppie concettuali per disegnare un atlante interpretativo dei processi di globalizzazione. In particolare, scopo principale dell'analisi è di osservare da un lato perché e come "la terra ritorna instabile" e dall'altro lato "il panorama dello spazio globale" definito appunto dalla tensione dialettica tra diversi poli dicotomici. Recinto e spazio globale (Paola Pasquali) tende ad esempio ad indagare che cosa resta dello stato-nazione in quanto recinto del diritto, una questione che richiama i problemi dell'unificazione europea ma in generale la stessa trasformazione dei modelli nazionali di capitalismo (si veda anche il recente dibattito tra Jürgen Habermas e Wolfgang Streeck). Il rapporto dialettico si pone pure per le coppie concettuali che sono oggetto di approfondimento in alcuni capitoli del volume: separazione e relazione (Mauro Magatti), sovraordinazione e subordinazione (Adele Bianco), scala geografica e spazialità urbana (Matteo Bolocan Goldstein) o polis e cosmopolis (Anna Lazzarini). In altri capitoli, si osservano nuovi processi: da terra/mare ad aria (Matteo Vegetti) e da beni pubblici/privati a beni comuni (Angelo Pichierri). Oppure si indicano veri e propri nuovi percorsi di tendenza: dal confine alla soglia (Paolo Giaccaria), dal funzionalismo alla reticolarità (Francesco Somarè) e dal labirinto al passaggio (Paolo Perulli). Si tratta certamente di una proposta di analisi molto utile e originale che indica l'agenda delle sfide globali che richiederebbero più razionali meccanismi di governance a livello internazionale: dalla più diffusa competizione a livello mondiale ma anche dalla relativa crescente interdipendenza delle economie ai più intensi flussi migratori, all'instabilità creata dal capitalismo finanziario, alla inarrestabile concentrazione urbana, ai problemi di sostenibilità ambientale. Pur dovendo registrare l'assenza importante dell'atlante relativo alla metamorfosi del lavoro, ovvero alla transizione dal lavoro tradizionale a quello a più elevato contenuto intellettuale, creativo e relazionale. Il ricorso ai concetti fondamentali delle scienze sociali per disegnare questo atlante della società globale costituisce uno degli elementi più interessanti e stimolanti che merita senz'altro di essere sottolineato quale incentivo alla lettura. Fondamentale appare ad esempio l'utilizzo della dicotomia simmeliana di sovraordinazione/subordinazione che consente ad Adele Bianco di analizzare due questioni di grande rilievo: la trasformazione dei rapporti internazionali, tra le economie sviluppate e quelle emergenti, e la crisi del processo di unificazione europea. Nel primo caso emergono quei rapporti di reciprocità e di uguale importanza, sottolineati in maniera innovativa da Simmel, derivanti dal fatto che la subordinazione si presenta come esigenza tecnica dell'organizzazione sociale moderna. L'ascesa prima dei Nic (Newly Industrialized Countries) e poi dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) può dunque essere interpretata come tendenza a "convogliare e rendere il proprio aspetto meramente quantitativo finora informe in potenza e di tramutarlo in caratteristica qualitativa, segnando una svolta in direzione del proprio sviluppo". Per quanto riguarda invece il più difficile processo di unificazione europea, la coppia simmeliana consente di osservare il riproporsi in termini economici della tradizionale questione politica della Germania: troppo forte per essere integrata e non sufficientemente grande per imporre la sua egemonia. L'ordine sociale, mondiale ed europeo, dipende pertanto dall'evoluzione delle condizioni di equilibrio dell'ossimoro simmeliano. Ma dipendono anche più in generale dall'evoluzione degli "ordinamenti legittimi", il concetto weberiano che consente ad Angelo Pichierri di interpretare la relazione tra competitività economica e coesione sociale, che sta alla base proprio del modello sociale europeo e oggi, più esattamente, della sua interruzione e del relativo deficit democratico. Come ci ricorda l'autore, "la capacità di certi ordinamenti di produrre certi tipi di beni e di allocarli definisce tipi diversi di società; lo stesso bene ha in società diverse natura diversa e regimi di proprietà diversi". L'approccio weberiano tende quindi ad essere preferito rispetto a quello dello stesso istituzionalismo contemporaneo poiché apre alla dimensione cognitiva quale aspetto rilevante, al pari di quello normativo. Tale approccio permette infatti all'autore di definire una vera e propria "costruzione sociale" dei beni economici, con la possibilità di operare alcune utili distinzioni: ad esempio, tra beni pubblici e commons, così come illustrati da Paul Samuelson e Elinor Ostrom. Oppure, tra attori e principi di regolazione, che consente di rileggere i processi di "privatizzazione" non tanto o non solo come "una pura e semplice ritirata degli ordinamenti pubblici di fronte a quelli di mercato". Le combinazioni possono infatti essere molteplici: gli attori pubblici se sono forti e legittimati possono imporre ai privati le regole del gioco e gli stessi processi di privatizzazione possono essere reversibili, come già osservava Albert O. Hirschman in Felicità privata e felicità pubblica (Il Mulino 1983). Di grande utilità, a tale scopo, è anche il richiamo alla ormai accettata classificazione sociologica dei beni (Ostrom e altri), a seconda che siano soggetti al principio di escludibilità, di tipo rivale (beni privati) o non rivale (beni di club), oppure non escludibili, che anche in questo caso possono essere di tipo rivale (beni comuni) o non rivale (beni pubblici). Quale studioso particolarmente attento ai temi dello sviluppo locale, Pichierri segnala i limiti del "carattere a-territoriale" prevalente nelle teorie di club, osservando che l'appartenenza territoriale sarebbe addirittura il fondamento della membership di club. Inoltre, la teoria economica di club risulta più utile se tiene presente non solo la dimensione territoriale, ma anche quella organizzativa, proprio in considerazione dell'obsolescenza della tradizionale distinzione pubblico/privato e del relativo indebolimento degli ordianamenti legittimi. Sono proprio questi tipi di beni né pubblici né privati ad interessare maggiormente le scienze sociali, come ad esempio le common-pool resources che, all'opposto dei beni di club, si caratterizzano per la loro non escludibilità e rivalità. In quanto non escludibili, corrono rischi di free-riding dei beni pubblici; essendo rivali, sono soggetti a problemi di congestione, abuso, inquinamento, distruzione, come illustrato dalle ricerche della stessa Ostrom e dalla letteratura sui limiti dello sviluppo (d'obbligo il richiamo al contributo pionieristico di Fred Hirsch, Social Limits to Growth (Routledge & Kegan Paul, 1977). I capitoli di Bianco e Pichierri indicano fondamentali segnavia di uno dei percorsi interpretativi proposti dal libro-atlante, tra globale e locale e viceversa. Un altro importante percorso proposto dal volume è senza dubbio, come già ricordato, quello relativo alla possibile uscita dalla grande crisi del capitalismo, iniziata con il fallimento della Lehman Brothers il 15 settembre 2008 e tuttora in corso. Certamente, si tratta di un percorso che richiederebbe innanzitutto un'analisi approfondita delle cause della crisi, un'analisi che gli stessi economisti ammettono non essere ancora disponibile (si veda al riguardo il bel libro di Alan S. Blinder, After the Music Stopped, Penguin 2013). Ma cominciare a gettare qualche sguardo avanti può comunque essere utile. Il capitolo di Magatti propone ad esempio il passaggio dalla separazione alla relazione, per ripristinare l'equilibrio tra economia e società. Appare del tutto condivisibile l'idea che "dalle grandi crisi si esce solo innovando", anche se spesso la consapevolezza della questione non si traduce in politiche e pratiche adeguate. L'innovazione richiede soprattutto quei fattori di qualità, relazionalità, cooperazione e "ritorno della politica" discussi nella seconda parte del capitolo, per "far emergere la terra umana nel mare della tecnica". In questa immagine traspare però un eccessivo timore del ruolo della tecnologia (evidenziato dal concetto stesso di capitalismo tecno-nichilista) che pure ha garantito prima e dopo la crisi quell'innovazione e quella prosperità economica e sociale (negli Usa, 20 milioni di nuovi posti di lavoro creati nel decennio novanta e, oggi, recupero dei livelli occupazionali pre-crisi), in parte distrutta dal finanzcapitalismo (Gallino). È una visione che porta a dare la colpa della crisi ad una supposta "volontà di potenza individuale", alla cupiditas degli uomini, sorvolando troppo sulle colpe e gli errori specifici derivanti dalla cupiditas di altri attori ben noti (ancora, il libro di un economista come Blinder può essere di grande aiuto per capire…) L'opportunismo consentito dalla globalizzazione può essere contrastato solo dalla solidarietà che, a livello locale e globale, tende a rafforzare il capitale sociale. I percorsi segnalati nel libro sono quindi molto utili per individuare nuovi sviluppi consentiti dagli ordinamenti che non sono né di stato né di mercato e che pure sono alla base delle innovazioni più recenti (internet) e di gran parte della cosiddetta economia solidale. Il passaggio è stretto, ma resta l'unico disponibile per uscire dal labirinto.   Serafino Negrelli

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