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È un libro ben scritto e che ho letto di un fiato. Malinconico e triste, parla della storia d’amore di una giovane coppia alle prese con la difficoltà del vivere quotidiano che trova un punto di stabilità nella presenza della sig.ra A. ( la tata di famiglia che poi affronterà la malattia e la sofferenza).Nel libro si coglie la sensibilità che ha permeato il romanzo d’esordio. Ho letto un altro libro di Giordano ( Divorare il cielo) ma non mi è molto piaciuto.
Un libro profondo, che parla di come una sconosciuta, una persona esterna alla famiglia possa in realtà essere la quarta gamba del tavolo: se sparisce il tavolo resta comunque in piedi, ma traballa, vacilla, deve sostenere più peso con meno forza.
penso sia la prova della maturazione dell'autore, che mantiene la malinconia del suo primo libro e stavolta ci mette più sostanza. lì non avevo fatto nessuna piegatura, stavolta ne ho fatte tante (è il mio indice di gradimento). bella la storia e belle le anime dei personaggi, belli gli scorci delle loro vite comuni e bella la sensibilità di chi le racconta. Assolutamente dal leggere
Recensioni
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Cambia voce Paolo Giordano e cambia soprattutto tono. Cambia ambientazione e persino casa editrice, passando da Mondadori ad Einaudi. Il linguaggio si fa più ricercato, le descrizioni più intimistiche, il focus si concentra su piccole e apparentemente insignificanti vicende familiari, tra le cui pieghe scorrono sentimenti inespressi e malcelati.
Dopo il successo anche cinematografico del suo romanzo d’esordio, La solitudine dei numeri primi, vincitore del Premio Strega e del Premio Campiello Opera prima nel 2008, e dopo il ritorno alle stampe, nel 2012, con Il corpo umano, che voleva essere un’occasione, forse mancata, per descrivere la vita quotidiana dei soldati italiani in Afghanistan, Paolo Giordano cambia decisamente rotta e con Il nero e l’argento decide di dare alle stampe un romanzo breve, scritto per la prima volta in prima persona.
La voce narrante di questa storia è un giovane professore universitario, un fisico, sposato da qualche anno con Nora, un’arredatrice d’interni e padre di un bambino, Emanuele. La storia parte con il racconto della difficile gravidanza di Nora per raccontare l’ingresso in questa giovane famiglia borghese della signora A., un’anziana governante. La signora A. resterà in famiglia anche dopo la nascita del bambino e per tutti gli anni della sua infanzia, partecipando come un testimone silenzioso eppure autorevole, al menage familiare.
A colpire il lettore nella descrizione della vita di questa giovane coppia e della loro governante, è il vuoto e l’abulia di questi ragazzi, che trascinano le loro vite giorno dopo giorno senza dimostrare la minima capacità di modificarne il percorso, forse perché assuefatti dalle loro comode abitudini. La signora A. porta invece all’interno di questo microcosmo asfittico, in cui il padre tende a estendere anche alla vita privata la logica rigorosa del ragionamento matematico, una ventata di umanità. Le pantofole consumate, la cucina della tradizione, l’attaccamento morboso al denaro, il pettegolezzo, tutto quello che una famiglia di elevata estrazione sociale non comprende e non contempla viene introdotto dalla governante.
Con lei arrivano gli abbracci, i racconti e i perdoni a un bambino, Emanuele, lasciato per la maggior parte del tempo a fare compagnia a se stesso. Babette, come viene ribattezzata, con il passare degli anni diventa parte integrante della famiglia, sostituendo di fatto la figura della nonna, senza che per altro i due ragazzi si siano mai veramente interessati alla sua vita privata, alla sua famiglia e ai suoi amici. Poi un giorno, improvvisamente, la signora A., la loro Babette, dà le dimissioni e non si presenta più al lavoro. Una defezione che viene vissuta come un trauma, un abbandono, ma alla quale la giovane coppia non sa reagire. Solo dopo molti giorni si scoprirà la verità sulla signora A.: ha lasciato il lavoro per combattere una terribile malattia, il cancro ai polmoni.
L’emergere della malattia di Babette, farà emergere allo stesso tempo anche la malattia della coppia, la solitudine. Sarà l’incapacità di reagire e di esprimersi ma anche la distanza siderale che pian piano si creerà tra i protagonisti di questa storia a infettare, con il suo umor nero, le pagine di questo romanzo. Il nero è il colore del cancro, così com’è nero lo spirito del giovane protagonista di questa storia. Tra le mani, per affrontare meglio la malattia della signora A., ha un bellissimo libro di Siddhartha Mukherjee, L’imperatore del male, pubblicato da Neri Pozza e scritto da un medico indo-americano. È una biografia del cancro, la storia sociale della sua lunga epopea e dei suoi numerosi disastri tra le popolazioni del mondo. Tra queste righe si legge un curioso accostamento che il medico Galeano fece tra il cancro e la malinconia, entrambi originati da un eccesso di umor nero. Forse è questo che lega così fortemente il protagonista di questo romanzo alla figura di Babette, e forse è questo stesso elemento quello che lo allontana da sua moglie Nora. La linfa di Nora scorre chiara, limpida e copiosa a dispetto di tutto, la sua vitalità sembra inesauribile, nulla, neppure il dolore, sembra essere assimilato come un dato definitivo nella sua vita. Lui è il nero, lei è l’argento. E forse i loro umori non si mescoleranno mai.
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