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Tutti i romanzi del ciclo "Le Nemesi" meritano di essere letti, ma il mio personaggio preferito rimane Bucky Cantor in Nemesi.
Tutto è finito per Simon Axler, uno dei più grandi attori teatrali della sua generazione. Ha superato i sessant’anni e ha perso la sua magia, il suo talento e la sua sicurezza. Quando sale sul palcoscenico si sente un pazzo e si vede un idiota. “L’umiliazione” descrive, quasi in modo grottesco e limpidamente cinico, il decadimento fisico e mentale, oserei dire spirituale, verso il quale il protagonista è irrimediabilmente diretto. L’inizio della fine nato per caso, come descrizione del gioco sadico e casuale che è la vita, che scopre le sue macabre carte spesso soltanto nella vecchiaia. Mi dispiace dirlo, ma reputo questa, forse l’opera minore dell’autore. Difficile cogliere appieno tutti gli spunti di riflessione; troppi gli accenni lasciati sfumare velocemente, come l’amicizia con la donna conosciuta in istituto. Pochi e onestamente inverosimili i guizzi che trascinano la narrazione: una storia di sesso che viene raccontata non in chiave erotica ma in maniera pruriginosa e provinciale. “L’umiliazione“, sia come romanzo che come tema, è quasi scomodo; costringe il lettore a seguire i suoi giri inverosimili per poi concludersi con un finale piuttosto frettoloso e che non ammette nessuna accettazione della mente e del corpo che cambiano. Potete leggere la recensione completa sul blog.
Cosa succederebbe se tutto ciò per cui avete lottato, creato fino ad ora, si sgretolasse o si sciogliesse come neve al sole? E' quanto accade a Simon Axler, il protagonista di questo ennesimo romanzo di Philip Roth. "L'umiliazione" è il percorso, il viaggio dell'autodistruzione di Simon Axler, un attore che sente di non avere più nulla da dare, da dire, sente di aver perso il cosiddetto fuoco sacro e i personaggi che tanto riscontro hanno avuto "si sono sciolti in aria, in aria sottile". E' la lenta, terribile agonia di un disfacimento sia fisico che morale di un un uomo, ormai alla deriva, non riconoscibile neanche più a se stesso e alla sua persona. Roth tratteggia, ancora una volta, con abile maestria, la figura di un uomo in balìa di se stesso, delle proprie paure, delle proprie follie aggiungendo quel tocco di erotismo già presente in "Lamento di Portno" fino alla riappacificazione e alla consapevolezza di sè stesso prima come individuo e poi come attore.
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