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L'idea di fondo di questo libro era molto interessante,tanto ad indurmi ad acquistarlo. Niente di più sbagliato,Non ho amato la storia ,Le azioni dei personaggi, il caos presente nel libro per descrivere qualcosa. Ho faticato per terminare il libro, ho più volte pensato di abbandonarlo ma ho voluto dare una possibilità alla parte finale ma nulla! Per me è stata una perdita di tempo.
Va bene, ma sino a un certo punto, tutta la filosofia contro la trama, indice di conformismo,ma passare dalla trama all'informe e all'inconsistenza non mi sembra un gran passo in avanti. Caro collega (agronomo) Antonio, qualcosa di interessante l'hai pure scritta, già le Attenuanti si facevano leggere meglio, ma questo, che gran fatica portarlo a termine!!! L'anticonformismo troppo ricercato mi sa che ti ha fatto fare adesso un buco nell'acqua. Se ritorni con i piedi per terra forse torno a leggerti.
Libro importante, figlio di una generazione che non si accontenta di risposte banali, denso intenso doloroso a tratti disperato, ma affamato di verita che sfuggono, vorticoso increspato, cupo ma lucido
Recensioni
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Che cos’è la felicità? Cos’è la libertà del volere umano? Sono, questi, interrogativi che ci aspetteremmo di vedere affrontati in un saggio filosofico, più che in un romanzo: almeno in Italia, dove il conte philosophique non ha mai goduto di grande popolarità.
Eppure è proprio a questo genere illuministico che appartiene il nuovo romanzo di Pascale, seconda parte di un ciclo iniziato nel 2013 con Le attenuanti sentimentali, e che del precedente riprende i personaggi principali, l’ambientazione e i temi. Peraltro queste incursioni speculative sono prevalentemente opera del protagonista, che propone continuamente ardue questioni ai suoi interlocutori, ma senza mai riscuotere troppo successo: la volontà intellettualizzante del narratore, continuamente frustrata dalle reazioni degli altri personaggi, troppo presi da se stessi per apprezzare le “divagazioni” del protagonista, si risolve in una sorta di controcanto ironico alle fluviali affabulazioni degli altri personaggi, con effetti comici irresistibili.
Il romanzo è composto prevalentemente da dialoghi, con saltuari raccordi che si fanno più ampi e distesi nel terzo capitolo, che è poi quello nel quale accadono quasi tutti gli eventi. La duttilità e varietà del dialogato di Pascale sono ammirevoli, e vanno particolarmente sottolineate la verosimiglianza e la fluidità con cui i personaggi passano da un argomento all’altro.
Benché i temi del libro – che è pur sempre una storia di intellettuali e artisti di mezza età che parlano dei loro problemi esistenziali – possano far pensare a uno dei tanti romanzi ombelicali della contemporaneità italiana, siamo invece dinanzi a una vigorosa e appassionata riaffermazione dei diritti del romanzo come indagine del reale. Il mondo cui appartengono i personaggi è studiato e descritto con ricchezza di dettagli; la resa dei fatti è limpida e a volte arriva a esiti di impressionante evidenza. Per gusti e attitudini Pascale è essenzialmente uno scrittore comico: non ostenta i sentimenti, non porta all’estremo le tensioni, detesta la magniloquenza e preferisce smussare, evitare i rischi di eccesso emotivo smorzandoli con lo humour e i passaggi di tono. Eppure, se c’è una caratteristica del libro che davvero colpisce, mi sembra che sia un’altra ancora: ed è la sua inesauribile curiosità, la sua intelligente simpatia per le cose e per gli altri: in una parola, una felicità nel raccontare quale, nel romanzo italiano, non si vedeva almeno dai tempi di Comisso.
Recensione di Luca Simonetti.
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