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Anno edizione: 2019
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Nessuno ascolta il demone di un altro l'anonimo richiamo l'insensato boato o pigolio musica sghemba per irreali fuochi d'artificio sta tutto nel non detto il dito sulle labbra per non piangere.
«Tutto il peso del mondo | sta nel cranio che l'acrobata | al cornicione ostende».
Non è un caso che la figura dell'acrobata segni, fin dalle poesie iniziali, la nuova raccolta di Ottavio Fatica. La sua poesia, di cui si possono trovare in Italia pochi antesignani (in primis Ripellino), è una sfida sempre sul filo dell'invenzione linguistica, ma l'immagine del funambolo, o quella simile del «tuffatore in bilico | sul ciglio del crepaccio» in altre poesie, è anche fortemente simbolica, fra la vocazione a sondare il cielo e il tonfo «nelle feci del presente» sempre in agguato. La raccolta si snoda all'interno di una contraddizione, quasi una gabbia ontologica: perché le «splendide parole» sono le cose piú preziose che abbiamo, ma «il bello è che la verità | sta tutta nel non detto». E d'altra parte se siamo «in libertà sulla parola» significa, a seguire il pun nei due sensi, che la lingua è il nostro spazio di libertà, ma che la nostra condizione è comunque una sorta di libertà vigilata e infrangere «il muro», «la coltre», «la crosta», insomma, uscire dallo stallo delle esistenze è impossibile. Dunque quella di Fatica è una poesia che concentra il massimo di esuberanza e di sfida ma sottintende o addirittura pretende lo scacco, lo smacco, la disfatta. E la malinconia sotto la risata del clown.Indice
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Libro funambolico, non solo perché le metafore dell’acrobata e dell’equilibrismo siano ricorrenti nelle poesie, ma perché stili e temi si susseguono compositi e frammentati, poliedrici e provocatori, sempre sul filo di una soluzione prima perseguita e poi raggirata. L’illusione di una ricomposizione contenutistica e formale viene irrisa continuamente, e soprattutto viene presa di mira la coerenza stilistica, poiché le varie sezioni utilizzano timbri poetici diversi e discordanti. In alcune pagine iniziali la finalità appare principalmente etica: una riflessione sconfortata sul destino dell’uomo, in bilico tra bene e male, volontà di purificazione da un lato, attrazione verso la colpa e la dannazione dall’altro. Il lettore si trova davanti a un continuo moto ascendente e discendente, a un innalzarsi e a un precipitare nell’abisso: la metafora dell’affondamento, del diluvio, dell’alluvione rovinosa che si abbatte e non lascia scampo, fa da pendant al volo in un empireo sconfinato e indifferente, in “cieli senza rete”. La salvezza può insperabilmente arrivare dall’istintività ingenua del mondo animale, da un abbandono più disarmato e fidente alla vivezza del sentimento amoroso, o al ricordo dell’infanzia e di luoghi cari. Così nelle ultime sezioni del libro prevalgono temi più docilmente affettivi, e toni che corteggiano la filastrocca, la cantilena o addirittura l’elegia. Aldilà della pregnanza metafisica dei versi, si avverte anche la lusinga dell’esibizione linguistica, la giocosità dell’improvvisazione nell’uso ossessivo delle rime e delle allitterazioni, negli enjambement imprevedibili, nella vistosa negazione della punteggiatura, nel flusso di associazioni visive e sonore, nei sapienti arcaismi e neologismi. Questo libro così pieno di immagini, voci, echi letterari, sapienza meditativa, ci ricorda continuamente la nostra caducità e la nostra immortalità.
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