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Gradevole, ma nulla di più. L'ultima parte del libro mi è sembrata troppo superficiale, il finale poi è incomprensibilmente appena abbozzato.
Jonas Ebenser è un uomo di mezza età, solo e deluso. La moglie lo ha lasciato e prima di farlo gli ha rivelato che la loro unica figlia non è biologicamente sua. In un momento di totale sconforto analizza la sua esistenza, definendosi :"uomo- divorziato-senza nessun potere- vita sessuale inesistente-buone capacità manuali". Presa coscienza di ciò, decide di suicidarsi. Comincia a programmare meticolosamente il dove, il quando e il come. Pensando alla figlia che potrebbe ritrovare il corpo, decide di andare all'estero, in un paese appena uscito da una lunga guerra civile. Prende alloggio in un alberghetto ancora in funzione, l'Hotel Silence. Ha con sé poche cose, ma non manca la sua cassetta degli attrezzi. La situazione disastrosa della cittadina e l'incontro con i pochi superstiti, tra cui i due gestori dell'hotel, lo fanno desistere ogni giorno dal suo intento. . Questo breve romanzo è diviso in due parti : nella prima il protagonista crede di avere perso tutto, nella seconda il netto parallelismo con chi davvero ha perso tutto a causa di una guerra dura e spietata eppure ha il coraggio, la speranza di riscattarsi. Riparare danni, aiutare le persone consente a Jonas di riconciliarsi con la vita. La sua solitudine riflette quel malessere esistenziale che tutti, almeno una volta nella vita, abbiamo provato : disincanto, apatia e senso di impotenza davanti ad eventi che abbiamo vissuto. L'essenza di un uomo ferito dalla vita che aggiustando cose materiali, aggiusta un po anche se stesso.
Molto bello ed estremamente doloroso. Questa autrice non delude mai.
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