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L' unica storia - Julian Barnes - copertina
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unica storia

Descrizione


Alta e scanzonata, sicura in campo e affascinante, Susan ha un marito, due figlie e grossomodo l'età di sua madre. Con lei Paul inizia una relazione scandalosa che lo traghetta nella vita adulta e lo cambia per sempre

«Un racconto teso, intenso, dolente e bellissimo: forse il miglior romanzo dell'ultimo Barnes.»The Spectator

«Sorprende a ogni pagina. Uno scrittore all'apice della sua bravura; un romanzo che affonda come un amo nella carne del lettore e lì rimane.»The Times

«Abbiamo quasi tutti un'unica storia da raccontare. Non voglio dire che nella vita ci capiti una cosa sola; al contrario, gli avvenimenti sono tantissimi, e noi li trasformiamo in altrettante storie. Ma ce n'è una sola che conta, una sola da raccontare, alla fine»

Un'estate dei primi anni Sessanta, rientrato per le vacanze nei sobborghi londinesi dove vive con i genitori e afflitto dalla noia placida e solitaria dei suoi diciannove anni, Paul Roberts accoglie il suggerimento materno di iscriversi al circolo del tennis. Ma al suo primo torneo di doppio, anziché con uno dei vari indistinguibili Hugo, con una delle brune coetanee Caroline che avrebbero fatto la felicità della signora Roberts, il sorteggio lo accoppia con Susan Macleod. Alta e scanzonata, sicura in campo e affascinante, Susan ha un marito, due figlie e grossomodo l'età di sua madre. Con lei Paul inizia una relazione scandalosa che lo traghetta nella vita adulta e lo cambia per sempre. «Ed è cosí che vorrei ricordare ogni cosa, se solo potessi», lamenta il narratore, rievocando dalla prospettiva della vecchiaia gli esordi di quella sua travolgente storia d'amore: l'euforia dell'anticonformismo, l'ebbrezza del sesso, la fuga, il nuovo inizio. Ma le storie non sono mai davvero uniche, né univoche, e nel match giocato da Susan e Paul, quello della donna navigata con il suo bel-ami non è che il primo set. Per il secondo, il narratore, abbandonata la presa diretta dell'adolescenza, sceglie lo sguardo esterno di un tu ideale, che diventa impassibile terza persona nell'ultima parte del libro. Man mano che «lo strepito dell'io» si acquieta, ci racconta della costellazione di altre storie, tutte legittimamente uniche, che circondano i due amanti: il grottesco marito di Susan, Mr E.G., per il quale Paul non è che uno dei «giovani cicisbei» di cui la consorte si attornia, le due figlie variamente ostili, il generoso amico Eric, la saggia e disillusa Joan, con il suo gin, i suoi cani e i suoi cruciverba truccati. E soprattutto la storia del rivale subdolo e invincibile con cui il giovane Paul si trova a fare i conti, fallendo. «Che cosa preferireste, amare di piú e soffrire di piú; o amare di meno e soffrire di meno?», si era chiesto il narratore in apertura del romanzo. È una domanda che i personaggi di Julian Barnes, dal Geoffrey Braithwaite del Pappagallo di Flaubert al Tony Webster del Senso di una fine , a cui L'unica storia è strettamente collegato, si sono posti spesso. Per Paul, piú di cinquant'anni dopo quel primo fatidico torneo di doppio misto, la risposta sta forse nell'appunto scritto su un taccuino in gioventú e mai piú depennato: «In amore, ogni cosa è al tempo stesso vera e falsa; l'unico argomento al mondo sul quale è impossibile dire insensatezze».
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Dettagli

2018
18 settembre 2018
248 p., Rilegato
9788806237509

Valutazioni e recensioni

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Stefy
Recensioni: 4/5

Bellissima scrittura e tematica affrontata realisticamente. La vita di coppia, soprattutto non convenzionale, la crescita ed anche il decadimento. Non è però una lettura rapidissima se pur interessante.

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Floriano
Recensioni: 3/5

Genesi e tramonto di un rapporto scandaloso per la società. Diviso in tre capitoli, nel primo si apprezza lo spirito ribelle e di sfida in faccia ai moralismi, con il secondo l'angoscia e il dolore per la propria vicenda che a causa dell'alcool si trascina verso il baratro. Peccato che nel terzo le riflessioni si appesantiscano e rallentino nella filosofia che rende noiosa la parte finale. Voto 5/6

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carla
Recensioni: 4/5

Il romanzo è diviso in tre parti: la prima è sicuramente la migliore, in cui Barnes riesce a sviscerare al meglio la personalità del protagonista. Sembra invece lasciata al caso la descrizione della protagonista femminile che viene sviscerata maggiormente nella seconda e terza parte, anche se a quel punto la narrazione risulta quasi abbozzata.

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Voce della critica

A cura di: Il Rifugio dell'Ircocervo



«Abbiamo tutti un’unica storia da raccontare. […] E questa è la mia.»

Spara in alto, Julian Barnes. Trama di L’unica storia, in poche parole: un ragazzo di diciannove anni si innamora di una quarantenne, lei ricambia, si amano, poi si amano un po’ meno. Detto così, e considerata la premessa, è legittima una certa delusione. Viene da pensare che un autore di quel livello non può essersi accontentato di così poco, deve esserci per forza qualcosa, un punto di torsione che solleva il libro dal terreno del poco più che banale. Eppure questo romanzo è esattamente quello che sembra: duecentoquaranta pagine sulla storia d’amore, non sempre felice, di un ragazzo e di una quarantenne.

Vero che si vede il postmoderno in cui lo scrittore è nato e cresciuto: il romanzo è diviso in tre parti, in ognuna delle quali cambia la persona della voce narrante (in ordine: prima, seconda, terza singolare), suggerendo un effetto di allontanamento che fa pendant con il graduale allontanamento sentimentale di Susan e Paul, i due protagonisti. Ma un artificio di scrittura non vale di per sé un romanzo riuscito – anzi (e qui con un brivido sfioro la presunzione) viene il dubbio che la complessità strutturale derivi piuttosto da una segreta insicurezza, dalla paura di fare troppo poco. Se così fosse Barnes non avrebbe dovuto preoccuparsi, secondo me: avrebbe potuto tenere il libro interamente in prima persona, dall’inizio alla fine, e la potenza non sarebbe stata dissipata.

Il pulsare profondo di questo libro è altrove; il motivo che ci spinge a leggere pagina dopo pagina, nonostante non succeda niente di apparentemente sensazionale, non è certo lo stupore di una persona narrativa che cambia. Capire quali siano questi epicentri, questi generatori nascosti di potenza, significherebbe capire a fondo la scrittura di Julian Barnes; quindi abbasso il livello di presunzione e mi limito a tentare un elenco sommario (tre).

Il primo sono i dettagli di cui qualsiasi storia d’amore deve essere intrisa (il torneo di misto doppio di tennis, il soprannome “Casey”, gli anomali tic linguistici di lei: “comiski?”), perché qualsiasi amore nella vita come nella narrativa ha il suo corredo di piccole unicità, è particolare, mai sovrapponibile a quello accanto. È questo a catturarci, più di qualsiasi colpo di scena: la storia raccontata ci appartiene perché ha tutti i tagli sartoriali che ci consentono di infilarcela addosso come una nuova pelle.

Il secondo epicentro è la lingua, quel miscuglio di narrazione e ragionamento sentimentale-esistenziale, tipico dell’ultimo Barnes, che forse trova l’esempio più avanguardistico in Livelli di vita (alcuni lettori più inflessibili lo troverebbero palloso per la quasi totale assenza di fatti) e che qui invece raggiunge un amalgama mite, senza niente togliere al piacere della lettura, ma aggiungendo un paio di gradi di profondità alla vita interiore del protagonista («Che cosa preferireste, amare di più e soffrire di più; o amare di meno e soffrire di meno?»). E questo è essenziale: è la lezione che, in termini diversi, discende da Salinger, dalla lingua messa in bocca a Holden Caulfield – un marchingegno che ci dà l’illusione di movimento, mentre in realtà siamo rimasti impantanati tutto il tempo in una formazione mancata, in un non-passaggio all’età adulta (o, nel caso di Barnes, in un amore qualsiasi).

Il terzo epicentro è proprio il coraggio del luogo comune. Di più, il coraggio di andare fino in fondo al luogo comune: il romanzo racconta questo rapporto sentimentale che nasce, ce lo espone nel corso del suo lento appassimento, ne mostra la parabola discendente, contraddicendo l’equazione che vorrebbe un amore adultero come un amore impetuoso: qui l’entusiasmo dell’adulterio si ribalta, diventa amore tiepido e quotidiano, fino a dirigersi altrove, nel finale – all’ipotesi che qualunque storia, per quanto unica, può conoscere, più o meno dolorosamente, la necessità di una fine.

È un’operazione, quest’ultima, che solo i grandi possono realizzare. Gli scrittori medi evitano i cliché; i cattivi scrittori ci cadono dentro; i grandi scrittori li ribaltano. E Julian Barnes è uno dei più grandi scrittori del nostro tempo: a lui è concesso immergersi anche nei punti morti, perché sa tenersi a galla con eleganza e uscire con le mani grondanti di vita.


Recensione di Pierpaolo Moscatello

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Conosci l'autore

Julian Barnes

1946, Leicester

Figlio di due insegnanti di francese, Julian Barnes si è trasferito da Leicester a Londra da piccolissimo. Ha studiato alla City of London School e al Magdalen College di Oxford, ha poi collaborato come lessicografo con l'Oxford English Dictionary. In seguito ha lavorato come redattore letterario e critico cinematografico per riviste come «New Statesman», «New Review», «The Observer» «Sunday Times» e, più tardi, come corrispondente estero per «The New Yorker».Tra le sue opere, tutte pubblicate in Italia da Einaudi (ma negli anni '90 da Rizzoli), ricordiamo Storia del mondo in 10 capitoli e 1/2 (1997 e 2013); Oltremanica (1997); Amore, ecc. (1998 e 2013); England, England (2000); Amore, dieci anni dopo (2004 e 2014);...

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