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Via Gemito - Domenico Starnone - copertina
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Via Gemito

Descrizione

Libro incluso nella longlist dell'International Booker Prize 2024.


Un padre ferroviere strafottente e fantasioso, con la vocazione ostinata di pittore. Un figlio che si è sempre vergognato delle bugie del padre, ma che dopo tanti anni non è piú sicuro dell'infallibilità dei ricordi. La memoria è infatti una somma di malintesi, e quanta vita vera può ancora sprigionare la sua confusione, spesso menzognera? E, soprattutto, come raccontare un uomo che ha romanzato continuamente la sua esistenza, uno che «credeva che le sue parole fossero in grado di rifare i fatti secondo i desideri o i rimorsi»?

«Via Gemito è un ponte. Tra due carriere, due poetiche, due modi di calarsi dentro il matrimonio, l'insofferenza, i difetti dell'amore, le aspettative deluse. Ma capita spesso che un ponte sia più bello, più importante delle rive che unisce. Che un libro funzionale a definirsi sia, per un autore, il libro della vita. Per lingua e acrobazie della narrazione frammentata, Via Gemito offre il miglior Starnone possibile» - Nicola H. Cosentino, la Lettura

A rileggerlo oggi, salta agli occhi una cosa semplice: Via Gemito è un capolavoro della letteratura italiana.

La casa di via Gemito odora di colori e acquaragia. I mobili della stanza da pranzo sono addossati alla bell'e meglio contro le pareti e, prima di andare a dormire, bisogna togliere dai letti le tele messe ad asciugare. Federico, detto Federí, ambizioso e insoddisfatto, desidera essere apprezzato come pittore di talento. Lavora invece come impiegato nelle ferrovie statali per dare da mangiare alla sua famiglia: alla moglie Rusinè, di una bellezza speciale, e ai loro quattro figli. A distanza di molti anni, è il primogenito a raccontare quel padre, cosí inquieto nel dimostrare le sue doti artistiche, cosí vitale e affascinante, ma anche cosí sopraffatto da insoddisfazioni e delusioni. Napoli porta ancora su di sé le tracce della seconda guerra mondiale, ma la memoria che ha il figlio di quei giorni è tutta concentrata sulle incandescenze di Federí. Proprio quel padre ingombrante a cui ha sempre cercato di non assomigliare è motore di una ricerca che lo riporta nella città-cosmo in cui affondano le radici del suo immaginario e della sua lingua di scrittore. Federí, con la sua prosopopea e le mani sporche di colore, trova posto tra i personaggi memorabili. E vent'anni dopo la prima comparsa in libreria di questo romanzo magistrale, lo riproponiamo nei Supercoralli per presentarlo ai lettori vecchi e nuovi nella sua irresistibile felicità narrativa e nella sua nuda verità di capolavoro della letteratura italiana contemporanea.

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Dettagli

2020
6 ottobre 2020
456 p., Rilegato
9788806244798

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elide apice
Recensioni: 5/5
la ricerca faticosa del "padre"

Percorrere le strade della città cercando di riallacciare i fili del passato, cercare nella memoria legami che si sono allentati o forse lo sono sempre stati. Ricordare vividamente il padre, la sua assenza nella presenza ingombrante, irascibile, egotica. Non riuscire a ricordare della madre che pochi sprazzi di serenità offuscata da parole di rabbia, da sottomisione, da un marito ancora una volta ingrombante. Provare a far pace col proprio passato ed è strada difficile...

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Alce67
Recensioni: 2/5
faticoso

Al contrario di molti, ho trovato gravosa la lettura di quest'opera. La voce narrante cerca faticosamente di ricostruire la figura del padre e come questa abbia influenzato il corso della propria esistenza. Lo fa con dolore, in maniera frammentaria, focalizzandosi poco sugli eventi succesivi della propria vita. La figura del padre è onnipresente, le sue gesta sono narrate senza seguire alcuna cronologia. Dunque si procede a macchie di colore, in coerenza con le ambizioni pittoriche di questo padre che l'autore descrive con efficacia: un uomo egocentrico, perennemente insoddisfatto, con un'autopercezione distorta e ambizioni mal supportate dalla capacità di sacrificarsi e ascoltare gli altri. Il problema è passare 400 pagine di lettura in compagnia di un personaggio insopportabile e con una storia che non decolla. Certo c'è un ritratto vivace della Napoli del dopoguerra, ma non basta; alla fine mi ha lasciato poco

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EF
Recensioni: 5/5
Via Gemito - un capolavoro assoluto

Un testo ricco di digressioni ma capace di portare avanti, nella sua non-linearità temporale, una storia di formazione in cui il classico conflitto padre-figlio diventa l'autobiografia di due artisti di sensibilità (e narcisismo) esorbitante. Questo libro ha una furia narrativa che è in grado di tirarti dentro in un modo che ho raramente sperimentato. Ma è anche un libro dalla scrittura curata, in cui vari registri linguistici, quello del dialetto e quello dell'italiano letterario, sono continuamente in tensione, creando una lingua viva, unica.

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Voce della critica

"Bello, non bello, chi se ne fotte, Mimì: l'essenziale è che ho sempre pittato ... Sono stato un uomo libero, ho preso tutti quanti a rutti in faccia."


Gli occhi seri, indagatori e cupi di un ritratto di Albrecht Dürer datato 1526 ci osservano dalla copertina del nuovo romanzo di Starnone. Esprimono bene lo spirito rancoroso, ma al contempo autocommiserativo del protagonista e ricordano lo stretto rapporto con l'arte che pervade tutta la storia. Una vicenda all'insegna della "napoletanità", ma quella vera, autentica, non quel ritratto folcloristico un po' "melenso" che fanno della città alcuni autori (cogliendone solo l'animo furbesco, astuto, truffaldino, comico) che dipingono Napoli come non è. Federico (Federì, Fdrì, Fdricchié...) è anche, a modo suo, furbo, ma non è questa la sua principale caratteristica. È un uomo dotato di creatività e fantasia, che potrebbe diventare un grande artista, se la povertà non lo costringesse a guadagnarsi da vivere lavorando nelle ferrovie. È un uomo determinato, che non rinuncia a dipingere malgrado una famiglia numerosa da mantenere. Potrebbe rappresentare una figura positiva, e invece non lo è. E a dircelo è uno dei figli, il primogenito, Mimì, che ricostruisce la vita del padre e, di conseguenza, quella della madre, dei fratelli, della famiglia. Un po' attraverso i racconti degli anni precedenti alla sua nascita fatti soprattutto dal padre, un po' risalendo ai propri ricordi, confrontati, con la consapevolezza della maturità, con quelli degli altri. Ne emerge una figura di uomo violento, astioso, insoddisfatto, egocentrico ben diversa da quella che Federì vorrebbe dare di se stesso. Un uomo che travisa il passato, che ricostruisce gli eventi secondo la propria soddisfazione, che si reinventa senza rendersene conto. Un po' mitomane, molto egoista e decisamente violento Federì sfoga tutta la sua rabbia contro il destino sulla moglie, Rosa (Rusinè), colpevolizzandola in ogni modo e, soprattutto, picchiandola continuamente. Ma non teme di accanirsi anche contro Napoli, i colleghi, gli artisti, i critici, potremmo dire l'intera umanità. Una voce "invadente" che spesso assume toni esagerati, un continuo turpiloquio dialettale che Starnone ripropone nei suoi termini originari, il più delle volte senza traduzione, e malgrado ciò comprensibilissimi anche per il lettore che napoletano non è. È il suono, la cadenza, il ripetersi di alcuni vocaboli che rendono immediatamente familiare un dialetto la cui ricchezza è tale da poter definire qualsiasi sentimento. Qui si ritrova la vera Napoli, così si ricostruisce un mondo. Riscoprendo caratteristiche comuni come la mitomania, ad esempio, forse generata da secoli di infelicità che vogliono essere cancellati, o la strafottenza, la provocazione che serve a tracciare i limiti del proprio territorio, del proprio spazio, limiti necessari in un luogo in cui la propria libertà è da difendere quotidianamente. Federì è anche un millantatore, ma, come spesso accade, è un atteggiamento di difesa più che di aggressione. Ed è un maschilista, talvolta in modo insopportabile. È figlio di un retaggio culturale che risente l'influsso della cultura mediorientale; è solidamente radicato nella convinzione che la moglie debba restare a casa con i bambini, che non debba partecipare in alcun modo alla vita sociale del marito, che sia spesso un peso, e che in pubblico possa essere solo fonte di disagio. Federì talvolta in effetti si è vergognato di Rusinè, per quel suo desiderio di essere "elegante", perché è appariscente, perché piace agli uomini: una vergogna che si confonde con la gelosia e da cui sfuggire è difficile, anzi impossibile. Rusinè morirà molto prima del marito, dopo "un'agonia lunga anni" costellata da tormenti e furiose liti, da un'infelicità difficile persino da descrivere, che la rassegnazione non basta a sopire, malgrado la sua immagine "di donna contenta". "Ho portato il rimorso, lo porto ancora, di non essermene accorto, di essermi addestrato a non accorgermene", scrive il figlio. Perché la figura del padre era preponderante, perché il non vedere era anche un modo per i figli di sopravvivere all'infelicità, di costruire per sé stessi una vita differente.
È poco importante sapere se Federico artista avrà o meno successo, se le sue opere continueranno a essere esposte in qualche galleria o nelle sale di qualche comune, come il suo capolavoro I bevitori, frutto di anni di lavoro strappato alle urla dei figli, ai problemi familiari, alla rabbia. L'importante è ricordarlo com'era in Via Gemito. Il modesto appartamento di Via Gemito, al Vomero, è stato il cuore di una vita, non l'unica casa della vita, ma la più importante. Qui si è svolta gran parte della storia narrata che Mimì ricostruisce lentamente e riscopre nella sua verità. E con stupore, talvolta, ci propone alcuni episodi, come se lui stesso, raccontandoli, ne avesse per la prima volta piena consapevolezza. Si è detto che questo romanzo è parzialmente autobiografico e che molti dei personaggi descritti siano riconoscibili nella realtà. Non mi sembra particolarmente importante saperlo, perché Starnone è riuscito comunque a ricostruire un clima, un mondo esuberante, logorroico, straripante, "sopra le righe" che assume caratteristiche di universalità che molti lettori napoletani, italiani, mediterranei potranno riconoscere.

A cura di Wuz.it

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Conosci l'autore

Domenico Starnone

1943, Napoli

Domenico Starnone ha insegnato a lungo nella scuola media superiore e si è occupato di didattica dell'italiano e della storia (Fonti orali e didattica, 1983). L'esperienza dell'insegnamento lo ha portato a scrivere Ex cattedra e altre storie di scuola, pubblicato originariamente alla fine degli anni ottanta, e Solo se interrogato. Appunti sulla maleducazione di un insegnante volenteroso.Per "I Classici Feltrinelli" ha introdotto, tra gli altri, Cuore di De Amicis (1993), Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo (1994) e Lord Jim di Conrad (2002). È stato redattore delle pagine culturali del “Manifesto”. Dai suoi libri sono stati tratti i film La Scuola di Daniele Luchetti, Auguri, Professore di Riccardo Milani e Denti di Gabriele Salvatores. Nel 2001 ha...

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