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recensione di Di Girolamo, C., L'Indice 1987, n.10
È stato recentemente ristampato nella "Piccola Biblioteca Einaudi" il volume di Francesco Orlando "Per una teoria freudiana della letteratura", apparso per la prima volta nel 1973. Questa edizione ampliata comprende tre nuovi scritti: "Risposta a un questionario", del 1975, "Replica a una recensione", dello stesso anno, e "Il repertorio dei modelli freudiani praticabili", pubblicato nel 1985 nel IV volume della "Letteratura italiana" Einaudi. Così accresciuta, "Per una teoria" raccoglie ora i principali interventi teorici di Orlando, che fanno da sfondo e da supporto ai tre magistrali saggi applicativi, tutti pubblicati da Einaudi, "Lettura freudiana della "Phèdre"" (1971), "Lettura freudiana del "Misanthrope"" (1979), "Illuminismo e retorica freudiana" (1982). Si tratta di libri che hanno avuto un'ampia diffusione e che fanno in qualche modo parte del bagaglio culturale di chiunque si sia interessato di critica e di teoria letteraria negli ultimi anni: "Per una teoria" e la lettura della "Phèdre" sono peraltro stati tradotti, nel 1978, in inglese ("Toward a Freudian Theory of Literature: With an Analysis of Racine's "Phèdre"" trad. di Charmaine Lee, The Johns Hopkins University Press, Baltimore), a dimostrazione dell'eco non solo italiana di questi scritti. Ma i quindici anni che ormai ci separano dal 1973 non sono pochi, soprattutto nel settore della teoria letteraria, che ha subìto nel frattempo sconvolgimenti di fondo. A distanza di anni, tuttavia, è forse ancora più facile cogliere la carica fortemente innovativa delle proposte teoriche di Orlando e misurarne l'attualità, la resistenza al cambio di prospettiva o all'avvicendamento delle mode; ed è anche possibile fare brevemente il punto sull'impatto che esse hanno avuto, o (nonostante, si diceva, la loro diffusione) non hanno avuto, nella cultura letteraria italiana.
Apparso nel periodo di maggiore fortuna del neoformalismo, "Per una teoria" si apriva con evidenti concessioni ai metodi della semiologia e della neoretorica, ma per arrivare a tesi di un antiformalismo radicale fondate su una prospettiva non celatamente marxista: una miscela, se si vuole, abbastanza esplosiva, Marx, Freud e Gruppo "m", che Orlando seppe tuttavia maneggiare con esemplare lucidità e rigore, prendendo nello stesso tempo le distanze, oltre che dal descrittivismo fine a se stesso dei neoformalisti, dal sociologismo della critica marxista e dal biografismo ingenuo della critica psicoanalitica. L'operazione teorica di Orlando è giocata sullo stretto rapporto, intuito da Freud soprattutto negli scritti sul motto di spirito e sull'interpretazione dei sogni piuttosto che in quelli sulla letteratura e sull'arte, tra ciò che Orlando chiama tasso di figuralità, o ritorno del represso formale, e discorso ideologico tendenzioso, o ritorno del represso come materia del contenuto. Nella grande letteratura, "materia e forma uniscono il loro ritorno del represso" (p. 72), nel senso che la figuralità dispiegata è strettamente proporzionale, o funzionale, alla tendenziosità o in certi casi all'eversività del messaggio. "La lezione del libro freudiano più istruttivo per gli studiosi di letteratura ("Il motto di spirito") è insomma una sintesi, contro l'ossificata antitesi fra storicismo ed estetismo: [...] letteratura priva o datata di contenuto valido? Innocente o tendenziosa?" ("Repertorio", p. 209). Respingendo questa contrapposizione semplificante, Orlando vede il discorso letterario come una formazione di compromesso tra forze concorrenti e inconciliate che si manifesta nel concedere spazio e nel dare voce, sia pure indirettamente o ambiguamente, alla forza (all'intenzione, alla tesi, al comportamento) che viene combattuta o rifiutata: è appunto questo, secondo Orlando, che distingue la letteratura dal discorso ideologico. Su una scala testuale più ampia, la formazione di compromesso finisce per coincidere con il modello della negazione freudiana, dove il negato urge con la sua presenza stessa e il "non" della negazione viene messo tra parentesi come "falsa marca del falso, preposta a una verità aliena dal darsi per vera" ("Repertorio", p. 215). Muovendo da premesse descrittive e perfino tassonomiche, Orlando getta in questo modo le basi, più che di una teoria, di un'estetica, in cui i dati formali e gli elementi di contenuto sono considerati congiuntamente, senza tuttavia mai prescindere dalla situazione storica in cui le opere sono prodotte e recepite, come i sommari esempi contenuti in "Per una teoria" e le puntuali analisi condotte nei saggi applicativi mostrano a sufficienza.
Nelle tre paginette introduttive alla nuova edizione, Orlando si pone una domanda retorica: "c'è da esser delusi, per chi come me non si augurava in partenza che di fornire spunti a un largo lavoro collettivo, e credeva defunto l'individualismo dei magisteri intrasmissibili? Mi spiegano gli amici che è probabilmente l'eccesso di sistematicità, nei libri di questo mio ciclo, a scoraggiare la tentazione di farsene un precedente metodologico - fuori dalla situazione di un attivo scambio di scuola" (p. 3). A me sembra che gli amici non abbiano tutti i torti: a giudicare almeno dal panorama degli ultimi decenni (e bene o male che sia), gli autori più fortunati e più seguiti sono stati teorici frammentari e asistematici, nelle cui opere ciascuno è invitato ad accomodarsi e a portare a casa quello che crede, anche gingilli o soprammobili. Questo non è evidentemente il caso della teoria di Orlando, che oltre alla sistematicità esibisce un culto della ragione e, forse, un ottimismo di fondo che non sono oggi più, solo così si può dire, di moda. Le teorie dominanti, a farci caso, sono tutte teorie negative, teorie che demoliscono altre teorie o che ne sono il seguito e il rovescio (agli "-ismi" di una volta si sono sostituiti da tempo i "post-"). Questo Orlando non può, ovviamente, ignorarlo. E va anche aggiunto che la teoria, una teoria sistematica, tutt'altro che negativa, tutt'altro che pessimistica, ha finito per mettere in ombra, di Orlando, la sua componente saggistica, che si esprime al meglio nella raccolta prefreudiana "Le costanti e le varianti. Studi di letteratura francese e di teatro musicale" (Il Mulino, Bologna 1983) e in quello che resta forse il suo libro più bello, l'ultimo (finora) e il più saggistico della serie freudiana, "Illuminismo e retorica freudiana". Anche questo, il passaggio in second'ordine di una produzione saggistica che trova pochi confronti negli ultimi vent'anni, schiacciata sotto il peso di un modello ben conosciuto eppure scarsamente applicato, Orlando non può non saperlo e in qualche modo non può non averlo voluto, benché ora aggiunga: "se sperassi ancora in una moltiplicazione futura di lavori su premesse omogenee, conterei meno sulla proposta teorica degli scritti qui finalmente riuniti, che sugli esempi di analisi testuale offerti dagli altri tre libri del ciclo" (p. 3).
Restano tuttavia alcune amare considerazioni da fare che riguardano il costume letterario italiano. Dei saggi di Orlando certo tutto si può dire salvo che non si prestino alla discussione, alla critica, a risposte anche polemiche. Il modello freudiano da lui proposto, inoltre, si differenzia sostanzialmente da altri approcci psicoanalitici alla letteratura (fondati sui personaggi, sull'autore o sul lettore), sottraendo la teoria al mero consumo interno a una determinata scuola critica. Ora è ben singolare che l'impatto di questi scritti, che hanno rappresentato una delle poche proposte teoriche originali e non ripetitive avanzate in Italia negli ultimi decenni, sia stato relativamente modesto e circoscritto, perfino nell'ambito stesso degli studi che si ispirano alla psicoanalisi. Ed è difficile non fare paragoni. Penso ad esempio agli stimoli che, all'interno di una comunità intellettuale assai più ricettiva e educata al dibattito, quella statunitense, ha potuto esercitare negli ultimi vent'anni Norman N. Holland, un cui importante libro del 1968 è stato ora opportunamente tradotto in italiano ("La dinamica della risposta letteraria", Il Mulino, Bologna 1986).
Anche Holland propone un modello freudiano, incentrato sulla risposta del lettore, un modello lontanissimo da quello orlandiano, a confronto del quale spicca (sia detto senza cattiveria) per la sua unidimensionale rozzezza. Ciò nonostante, Holland ha trovato negli Stati Uniti interlocutori attenti e intelligenti, tra cui anche critici feroci, e la sua teoria ha dato anzi un notevole contributo a un intero indirizzo della critica, che va sotto il nome di "reader-response criticism". Lo stesso non può dirsi dell'Italia. La cultura letteraria italiana, prontissima a sperimentare le più audaci ibridazioni di teorie talvolta recepite con strani ritardi e non di rado fraintese, ha finito per mettere tranquillamente da parte, nel caso di Orlando, un autore scomodo perché non parlava la sua stessa lingua, o meglio i vari dialetti che si sono avvicendati nella comunità critica. Forse c'è ancora tempo per rimediare, e la ristampa di "Per una teoria freudiana della letteratura" può essere l'occasione buona per riaprire, o piuttosto per avviare davvero, la discussione.
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