Tre racconti scritti fra il 1974 e il 1975. Come Yehoshua, anche Oz ritorna al passato, al suo passato, quello degli esordi. In Oz la vena autobiografica è dominante. Lo è di norma, in questo libro di più. Curioso che nei tre racconti appena usciti, nel primo, che dà il titolo al volume, come negli altri due (Il Signor Levi e Nostalgia) il protagonista sia sempre, indirettamente, un bambino che ha tutta l'aria di essere un alter ego di Oz, fantasioso, sognatore (quasi fatato, si sarebbe tentati di dire, per il modo come, fingendo di giocare, il bambino contempla il mondo degli adulti). Solo per illusione ottica si è indotti a credere che i personaggi maggiori siano i grandi (i genitori nel primo racconto). Questo bambino si chiama Uri, nel secondo e terzo racconto; nel primo racconto non ha un nome, ma la sua identità tende a sfumare nel bambino-poeta che, davanti alla nascita imminente dello Stato d'Israele, subisce la seduzione dei grandi, delle loro passioni, per questo fa domande scomode. In pratica, senza dirlo, i bambini di questi tre racconti supplicano il lettore: vorrebbero essere ascoltati, perché sanno che le loro domande saranno le domande del futuro (anche quando si chiedono se sarà possibile per loro trasformarsi in un pipistrello o in Shirley Temple). La ricostruzione degli interni è, come sempre in Oz, incantevole. La scena della festa all'ambasciata inglese, nel racconto iniziale, è meravigliosa: per la transizione che descrive, ad ampie e concentriche volute, farà venire in mente al lettore italiano il grandioso ballo del Gattopardo. Qui la donna fatale è la moglie del medico, che alla fine abbandonerà la scena rompendo l'incantesimo della famiglia unita. Non sono decisamente a lieto fine le storie d'amore di questi racconti. Uguale la collocazione cronologica che dà unitarietà al libro: siamo alla vigilia dell'insurrezione contro il mandato britannico, questione di ore. La ricercata lentezza stride con la tensione nervosa della vigilia. Si aspetta qualcosa che sembra non arrivare mai. Personaggi storici come Ben Gurion fanno capolino, non sono certo quelli meglio riusciti sul piano della resa psicologica (la cosa credo non sia casuale: rientra nel pathos della distanza, denominatore comune di tanta narrativa israeliana dell'ultimo periodo). Nel secondo racconto, Il Signor Levi, il personaggio principale è un membro clandestino della resistenza ebraica, che ha una doppia vita. I suoi amori dongiovanneschi sono protetti dalla benevolenza di un poeta e di un bambino (in realtà sono due figure gemellari, due specchiati sembianti). Nel terzo racconto l'attesa per il grande momento fa crescere la tensione. Si potrebbe parlare di un crescendo, ma infinitesimale: lo scoppio del conflitto nel primo racconto è piuttosto sullo sfondo, il lettore si avvicina all'esplosione passando dal secondo racconto al terzo, in cui l'ora X è davvero a portata di mano (ma l'autore deliberatamente si astiene dal descrivere l'evento). Nell'ultimo racconto, che ha la forma di un piccolo romanzo epistolare, la malattia del protagonista lo porta a rievocare un'intensa passione amorosa della giovinezza. Ci sono soltanto le lunghe lettere di lui. Storia e politica rimangono sullo sfondo o, se emergono, lo fanno attraverso gli occhi dell'infanzia. Una parte non minore del distacco viene dalla nostalgia d'Europa, soprattutto il ricordo della capitale absburgica dove Nussbaum si è formato e ha incontrato Mina. Una ricostruzione non oleografica della Vienna fin de siècle. Anche Oz, come l'ultimo Yehoshua, raffredda dunque il pathos della storia: lo fa con lo strumento classico dell'autobiografia, dell'elegia che per sua natura allenta i contrasti. Nel primo racconto è emblematico il rapporto intenso, ancorché inconscio, che lega il medico, affascinante e tenebroso, a Lady Bromley, cognata dell'Alto commissario inglese; nel secondo si osserva l'ironia di un Leporello bambino che protegge la vita privata dell'eroe; nel terzo il protagonista confida di aver amato una sola donna e il suo romanticismo fa passare in secondo piano un dettaglio non trascurabile: con metodi artigianali il dottor Nussbaum confeziona esplosivi per la resistenza clandestina. Gerusalemme fa da sfondo ai tre racconti, ma è una città distratta, colorata e multiforme, per questo ignara del suo destino. È come se Oz fosse attratto dall'idea di trattenere il tempo, di fermare le lancette della storia: prefigura le sofferenze future, sa bene che quanto sta per accadere nel 1948 è un evento inatteso, gigantesco, per certi versi "scandaloso", ne percepisce le contraddizioni, i dilemmi fra l'oppressione del mandato britannico in declino e la lotta aspra e senza fine che dividerà ebrei e palestinesi nei decenni futuri. Il fascino di questo libro consiste nel fatto che Oz abbia deciso di ri-presentarci proprio oggi Uri, e lo fa giocando sull'effetto che produce nel lettore il senno del poi ovvero attraverso la conoscenza dei suoi romanzi maggiori. Di Yehoshua la ricezione italiana è stata faticosa, ma lineare. I primi racconti (La morte del vecchio, Il poeta continua a tacere, Il rapido serale di Yatir, L'ultimo comandante), che oggi con stratagemma narrativo rievoca nell'ultimo romanzo, sono noti da molti anni al pubblico italiano. Questa trilogia di Oz ci consente di ripercorrere le prime fasi dell'opera di un narratore multiforme, capace di restituire, forse meglio di Yehoshua, il tessuto sociale di uno stato nascente, dotato di salde istituzioni, ma ancora embrionale, impulsivo, appunto, romantico, nel senso più alto e nobile che l'intimità può avere per uno scrittore mai indifferente al reale. Alberto Cavaglion
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