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Comprato usato, 3€ spesi comunque malissimo. Scrivere è un'altra cosa. Aldilà dell'estrema brevità che non giustifica il libro, la qualità qui proprio non c'è, né nella trama né nella scrittura.
Una storia che può sembrare una fiaba: il protagonista (un ricco industriale della seta, tutto dedito al profitto e in competizione continua con altri concorrenti ), una casupola semi-diroccata e apparentemente disabitata con un tetto rabberciato, arcobaleno per la copertura con teloni impermeabili di vario colore, due comignoli sempre fumanti, giorno e notte, estate e inverno, una strada dissestata e poco frequentata nell’l’appennino tosco-emiliano sulla quale si affaccia la misteriosa abitazione, e percorsa più volte dall’industriale. Un giorno incuriosito si ferma, va , bussa, entra nella casa, spoglia, solo apparentemente deserta , ma in realtà abitata da due miseri anziani e malconci personaggi, intrisi di una povertà vissuta con grande dignità e serena sopportazione. Da questo momento la storia diventa fiaba, con vissuti onirici dei percorsi a tappe (i ‘sette ponti’) nei quali il protagonista rivive tutta la sua vita, mentre in coma in rianimazione riesce a sopravvivere ad un pauroso incidente automobilistico. Emergono gli errori, gli eccessi, la nostalgia e i rimpianti, l’ ingratitudine verso chi lo ha aiutato e gli ha voluto bene, i ripensamenti su una vita dedicata unicamente alla conquista di beni materiali, trascurando i fondamentali affettivi. Aver scoperto quella casupola , la vera identità dei suoi due abitanti, il ritornarci gli cambierà la vita. Una finale un po’ scontato, ma piacevole e tutto sommato atteso da chi che legge. Un Corona non eccezionale, ma pacato, ‘romantico’ e a tratti ‘poetico’.
Sull’Appennino tosco emiliano, vicino all’Abetone, una strada tortuosa conduce in una valle scabra, come una fenditura fra le rocce. Qui c’è un’antica casa di pietra, con le finestre come occhi tristi, il tetto coperto da teli multicolori a difesa dalle intemperie e due comignoli sempre fumanti, estate e inverno. Un giorno d’autunno un industriale della seta, incuriosito, vuole scoprire chi vi abiti, e bussa alla porta. La coppia di anziani proprietari fa una strana richiesta: l’uomo dovrà attraversare a piedi i sette ponti che sorgono nei dintorni, e solo allora potrà entrare. A primavera, l’industriale torna e percorre quei ponti, che gli regalano strane visioni. Come il Mulino Bianco, la casa dei sette ponti esiste davvero presso S. Marcello Pistoiese, e a essa si è ispirato Mauro Corona. E’ una fiaba poetica e dolce, una parabola sul percorso da seguire x ritrovare valori antichi e semplici, le piccole cose che trascuriamo nella vita senza soffermarci a guardare e riflettere. Non sono tutte positive le visioni e le immagini, alcune sono tristi, terribili, dolorose, altre curiose e tenere, ma fanno parte del percorso dell’esistenza umana e attirano con una forza irresistibile. Come in “I fantasmi di pietra”, gli oggetti, gli alberi, le rocce, hanno un’anima e soffrono se abbandonati. Ho esitato a leggere questo racconto, pensando fosse sulla falsariga del pessimo “La fine del mondo storto”, un’allegoria sui mali della società industriale e un’invettiva velenosa contro i cittadini e i ricchi, ma non è così: l’imprenditore non è una persona cattiva, ma un uomo che percorre un cammino di redenzione verso il riscatto di un’esistenza più semplice e serena. Come i fantasmi di Scrooge nella notte di Natale, sospesi sul vuoto, i ponti lo conducono a considerare altre vite possibili. Forse la conclusione è un po’ prevedibile e moralistica, ma il racconto brevissimo è permeato di poesia e dolcezza, con un guizzo di gradevole ironia.
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