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Al cuore del liberalismo vi è l'idea che si debba assegnare a ogni individuo il "diritto all'eguale libertà". Questa è la tesi di cui Carter intende presentare il percorso logico, seguendo i dettami dell'"analisi concettuale", il modo migliore, a suo avviso, per sottrarsi al rischio di esprimere semplicemente "intuizioni morali confuse". Sono due gli snodi cruciali nello sviluppo argomentativo del libro: la deduzione del primato assiologico della libertà come bene non specifico, sulla base dell' "incommensurabilità tra concezioni del bene alternative" (a partire, cioè, dal riconoscimento del pluralismo nelle concezioni del bene) e la spiegazione del legame puramente empirico (non concettuale) tra il diritto alla libertà e quello alla proprietà, che dipende dalle "circostanze della proprietà" e dalla loro "compossibilità come impegno normativo politico". Il lavoro di Carter appartiene dunque a quell'orientamento della filosofia politica che può essere definito, forse un po' schematicamente, ma non senza valide ragioni, come "liberalismo di sinistra" (o anche, nell'odierna cultura politica anglosassone, left-libertarianism). Se da un lato vi è infatti il filone individualista e antiegualitario del liberalismo, che ha tra i suoi principali esponenti Hayek, Rothbard e Nozick, dall'altro vi è una corrente più attenta alle ragioni dell'eguaglianza e della giustizia sociale che, come indica lo stesso Carter, prende le mosse da John Stuart Mill ed Henry George, e riconosce un imprescindibile punto di riferimento nella teoria della giustizia di Rawls. In quest'alveo si pone indubbiamente anche il presente volume, con un linguaggio e uno stile argomentativo che ricalcano gli odierni formalismi della filosofia analitica anglosassone, per la verità senza andare oltre, anche negli esiti, a considerazioni già ripetutamente espresse.
Giovanni Borgognone
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