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Libro totalmente fuorviante. "Gestire la situazione, "gestire le emozioni", come si può gestire una situazione se si è parte della stessa? La "situazione" non si potrebbe nemmeno supporre se non ci fosse "qualcuno" a testimoniarla, l'essere cosciente dei fatti non separa le cose, semmai il contrario. E così l'emozione: Cosa si dovrebbe gestire? Se non fossi cosciente dell'emozione che provo, non esisterebbe la stessa. L'emozione ed io, sono la stessa cosa con due designazioni diverse. Non c'è separazione.
Eccezionale, ogni genitore dovrebbe leggerlo per comprendere meglio se stesso e soprattutto evitare errori con i propri figli, che per quanto a volte all'adulto possano sembrare banali, rischiano di minare irrimediabilmente il rapporto con il proprio figlio o peggio la sua coscienza di sè.
Secondo me tutti i genitori o aspiranti tali dovrebbero leggere questo libro! Contiene tutta una serie di concetti illuminanti, per esempio che la disciplina va insegnata e non imposta, o che le punizioni non funzionano e che il motivo per cui da adulti crediamo che essere puniti ci abbia fatto bene è solo che abbiamo rimosso i sentimenti negativi. Purtroppo spesso quando si diventa genitori ci si dimentica di essere stati figli e si impongono ai nostri figli le stesse sofferenze che i nostri genitori hanno imposto a noi. L'importanza di libri come questo è proprio che spiegano che per essere un bravo genitore non ci si deve mai dimenticare della propria esperienza di figlio: rifare quello che i nostri genitori hanno fatto di buono e non ripetere quello che hanno fatto di negativo. Ma soprattutto trattare i nostri figli con il rispetto che ogni essere umano merita: anche i bambini sono esseri umani con una dignità, personalità e intelligenza loro. Io non sono ancora genitore, ma se lo diventerò terrò questo libro come un tesoro... alla faccia di chi mi dice che butterò i libri di pedagogia dalla finestra e darò anch'io ceffoni come fanno le altre mamme! Abbasso i ceffoni e viva i libri, soprattutto quando sono ricchi di buonsenso come questo.
Recensioni
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(recensione pubblicata per l'edizione del 1987)
recensione di Di Carlo, A., L'Indice 1988, n. 6
Ebreo viennese e psicoanalista, Bruno Bettelheim ha vissuto nel 1938 l'esperienza della deportazione e del lager nazista. Sfuggì al campo di concentramento ed emigrò in America nel 1939, dove, in un libro divenuto famoso, Il prezzo della vita (1960), narrò la sua personale tragedia e l'orrore del campo di sterminio vissuto da milioni di deportati. Questo accenno ad un'opera sui campi di sterminio nazisti, fatto per recensire un'opera di riflessione pedagogica non è evidentemente casuale; in effetti è come se i problemi che Bettelheim affronta in questo suo nuovo libro, fossero ancora i problemi e le domande che in quegli anni lontani hanno attraversato la sua esistenza. Il lager è per Bettelheim un vero punto di svolta, è l'inizio di una riflessione sul valore profondo della libertà e della soggettività umana. La situazione estrema in cui è vissuto gli ha insegnato cita la comprensione di se, delle proprie ed altrui emozioni, è un potente strumento di difesa della propria integrità, della propria autonomia interiore: nel lager comprende che la capacità di comunicare e la fedeltà ad un nucleo profondo di valori e di ideali rappresentano uno strumento fondamentale di sopravvivenza.
I temi di cui stiamo parlando non riguardano solo l'antica esperienza del lager, li ritroviamo con altre modalità e contenuti nell'analisi critica che Bettelheim ha fatto e fa della condizione di anemia, di frammentazione, di dipendenza e in ultima analisi di isolamento emotivo, che caratterizzano le società di massa tecnologicamente avanzate in cui tutti noi viviamo Li ritroviamo infine in questo libro "Un genitore quasi perfetto" (o meglio "abbastanza buono" per essere più fedeli al titolo originale) in cui gli stessi temi sono tradotti in termini pedagogici e ripensati all'interno della relazione genitori-figli.
Il libro è il bilancio di una lunga esperienza psicoanalitica ed è una riflessione sul valore e sul significato delle dinamiche affettive nella crescita umana. La maturazione emotivo-affettiva (questo uno dei temi centrali) è un difficile, complesso, cammino verso l'identità e l'autenticità del sé. Motore di tutto questo sono le identificazioni profonde grazie alle quali il bambino accoglie nel mondo interno condotte, modi di sentire e di pensare dei genitori, del mondo familiare, dell'ambiente sociale. Si matura ci dice Bettelheim, per la qualità di queste relazioni, per la forza della presenza dell'altro, per la stabilità del contatto personale, che si instaura tra adulto e bambino. Se pensiamo per un momento al problema dell'esercizio dell'autorità, del controllo di se e dell'autodisciplina, scopriamo che ciò che ha peso e significato nell'imparare a vivere le regole comuni, non sono gli ordini e ancor meno le minacce e le punizioni. Ciò che conta è un sistema di valori coerente, quell'insieme fatto di comunicazione affettiva e di fermezza interiore che crea le condizioni per introiettare stabilità e autocontrollo. All'obbedienza basata sulla paura e il conformismo, Bettelheim contrappone il primato della crescita attraverso identificazioni con chi sa e sa fare: questo è per liti il nucleo generatore della forza dell'io, quel nucleo che consente di affrontare poi le vicissitudini dolorose e i conflitti connessi alla condizione umana. Dobbiamo aggiungere che per Bettelheim i processi di identificazione hanno questa qualità protettiva se la natura del rapporto genitori-figli è sempre meno quello che sembra essere divenuto nelle società industriali e postindustriali del nostro tempo, dominate dalla separatezza emotiva, dalla solitudine di giovani ed adulti, dal conformismo di massa. Di fronte a questa condizione di vita si avverte con chiarezza, in Bettelheim, la sottile nostalgia per una società in cui i giovani imparavano a vivere e a lavorare grazie a rapporti personali e ravvicinati con gli adulti e a sistemi sociali ricchi di appartenenza.
Se il rapporto personale e la ricchezza delle identificazioni, la vicinanza e la continuità delle generazioni, sono i luoghi della maturazione della mente, è soprattutto la conoscenza di se che fa da catalizzatore di ogni relazione maturativa e di ogni vera crescita personale. Il tema della maturazione affettiva intesa come accrescimento della consapevolezza di se, tema così strettamente legato al pensiero psicoanalitico, può essere considerato un vero leit-motiv del libro. Per Bettelheim la sostanza del procedimento analitico è nella conoscenza di sé. Egli sa molto bene che questa conoscenza è il risultato di un difficile cammino attraverso zone oscure della mente. In una sua recente opera, "Freud e l'anima dell'uomo" (1982), egli ha sottolineato proprio questo punto, cioè che il senso del lavoro analitico è nella scoperta di una verità interiore e non certo nei facili adattamenti all'esistente come ha creduto certa psicologia americana. Ebbene, anche in un libro di educazione familiare come questo, l'attenzione al nucleo forte del sapere psicoanalitico riemerge e si ripropone come via maestra per comunicare (se questo è possibile) con il bambino, con l'adolescente.
Nel libro non troviamo quindi un insieme di consigli pedagogici da fornire a genitori in difficoltà (anche se non mancano evidentemente i principi regolatori e i modelli di condotta) ma soprattutto l'indicazione di un atteggiamento interiore: la necessità di conseguire una consapevolezza di sé per arrivare alla conoscenza dell'altro. In breve, le fantasie, i sentimenti di un bambino, ci dice Bettelheim, possono facilmente trovare il muro delle nostre difese, ma se riusciamo a calarci nelle nostre emozioni mettendoci in certa misura in ascolto di noi stessi, se avvertiamo un contatto più profondo e comprensivo con le nostre esperienze passate, possiamo utilizzare tutto questo per ridurre le difese e creare uno spazio mentale più ampio che consenta all'altro di vivere e di crescere. Il rapporto con un bambino dovrebbe, in altri termini, poter accrescere la nostra capacità di insight personale e tradursi nella consapevolezza delle ambivalenze e dei conflitti che attraversano la condizione umana. Un bambino cresce perché si sente compreso, ma un bambino è compreso se il genitore sa mettersi in ascolto delle proprie emozioni: nel duplice ascolto di sé e dell'altro nascono l'empatia, la capacità di identificazione, le spinte ad utilizzare risorse profonde, le vere qualità che danno forza e spessore al rapporto pedagogico.
Nella sua parte centrale, infine, il libro di Bettelheim può essere letto come un piccolo trattato di psicoanalisi del gioco infantile. Bettelheim vi riassume tutta una tradizione di pensiero che ha fatto del gioco una delle vie per attingere i significati inconsci dei comportamenti del bambino. Ma il gioco non è solo una esperienza da interpretare, è uno dei luoghi alti della maturazione in cui le emozioni e la ragione si incontrano, in cui è possibile vedere emergere in trasparenza uno degli obiettivi del lavoro analitico: l'integrazione della vita emotiva e della vita intellettuale. Il gioco è dunque un luogo della mente, la stanza dei giochi (Spielraum), come è vista da Bettelheim, è uno spazio di libero movimento aperto al sogno e alla realtà, nel gioco il bambino può vivere emozioni ricche di significato e sperimentare un autentico esercizio di libertà intellettuale. Anche in queste parti del libro dedicate al gioco torna il tema, caro a Bettelheim, che maturare è accogliere alcune parti di se ed elaborarle in un tempo interiore, un tempo che varia da soggetto a soggetto, che coincide con un itinerario di scoperta, un movimento verso la verità. Il gioco è appunto questo, per questo senso forte, per questo suo spessore psicoanalitico e antropologico, serve a preparare gli apprendimenti futuri e la padronanza delle emozioni.
Un'opera di teoria dell'educazione dunque, questa di Bettelheim, un libro che si colloca nella sua linea di ricerca degli ultimi anni, una ricerca psicopedagogica da cui sono nate anche le opere sulla fiaba e sull'apprendimento della lettura. Non vi sono in questo libro che pochi accenni a quelle situazioni psicopatologiche intorno a cui ha lavorato a lungo e che ha narrato in altre opere molto note (si veda per tutte La fortezza vuota, Garzanti 1976, 1979, 1987). In questo nuovo libro vi è, come si è detto, il tentativo di fornire una lettura dei rapporti tra genitori e figli, i rapporti di tutti i giorni, in situazioni di normalità, un tentativo Atto alla luce di una idea di educazione che ci è sembrata di grande rilievo, animata com'è da un intenso desiderio di intimità e di stabilità emozionale, dal desiderio di una vita ricca di affetti e di forza simbolica, quale può nascere in chi ha avuto a lungo esperienza della sofferenza mentale e, insieme, il sostegno della "saggezza" psicoanalitica.
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