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Che dire? Libro da non perdere. Ha rivoluzionato le mie conoscenze ( scolastiche ma non solo... ) circa l'evoluzione storica delle scoperte scientifiche.
Questo lungo saggio rivolta come un calzino quello che ci è stato insegnato a scuola. In pratica, secondo Russo il punto più alto della scienza classica si è raggiunto con il primo ellenismo, insomma dal 300 al 150 a.C.; quello che noi consideriamo il "rinascimento imperiale" (Galeno, Plinio, Vitruvio, Tolomeo...) è un regresso rispetto a quelle punte di eccellenza, con gli scienziati che avevano sì a disposizione le opere di qualche secolo prima ma non le capivano più. Archimede non è stato un genio isolato, il "metodo scientifico" non è nato con Galileo ma quasi due millenni prima, e comunque Newton è tornato indietro, riprendendo temi aristotelici e teologici e allontandosi dai concetti originali della matematica. Ah, sì: Platone e Aristotele sono ridiventati di moda in età imperiale perché più comprensibili, ma in origine non valevano mica così tanto... Praticamente tutta l'analisi di Russo si poggia su inferenze indirette, come del resto ovvio dato che non abbiamo a disposizione le fonti originali. Alcune di queste inferenze sono plausibili, come quella che afferma che a noi sono giunte - perché sembravano più carine e quindi erano più usate - le opere più divertenti come quella delle macchine giocattolo di Erone e non gli originali che erano stati creati per illustrare scopi pratici. Altre mi sembrano molto più tirate per i capelli, come l'affermazione che nel primo Rinascimento girassero per l'Italia manoscritti poi perduti, di cui non ci sono nemmeno citazioni casuali, e che erano stati accuratamente tenuti nascosti da chi li sfruttava per mostrare le proprie "nuove" idee. La lettura però è indubbiamente piacevole: il testo non si legge come un romanzo perché è comunque denso, ma è appassionante, comprese le troppo brevi pagine finali sull'eredità perduta e la conclusione: "Attenzione, perché oggi stiamo perdendo il metodo scientifico per tornare al mito, con la gente che non capisce come funzionano gli oggetti e i fisici quantistici che sembrano maghi"
Veramente il libro che aspettavo, una storia della scienza che non si occupi solamente degli aspetti tecnici della materia, ma che cerchi di spiegare come è avvenuta la crisi della stessa sia in epoca antica che in quella ahimè contemporanea. Le informazioni forniteci dall’autore sono veramente tante ma il linguaggio usato è sempre della massima chiarezza. Peccato che ci venga detto solamente il come e non tanto il perché della decadenza della scienza antica; la mia idea e che la colpa si possa addebitare per intero alla seconda navigazione platonica, ovvero la scoperta del soprasensibile. E a conferma di ciò posso addurre la certezza avanzata da Russo stesso, che la scienza è diventata tale solo durante l’epoca ellenistica, guarda caso l’epoca delle scuole (epicurea, stoica, scettica, cinica) che dimenticarono proprio la seconda navigazione. Solo con l’avvento del cristianesimo e del neoplatonismo e quindi del recupero del soprasensibile, la scienza è andata di nuovo in crisi, per riemergere guarda caso ancora quando i vari rinascimenti e Cartesio, ma soprattutto l’illuminismo, iniziarono a dubitare proprio della certezza dell’esistenza del soprasensibile. Poi non vengono spiegate come sono state possibili le intuizioni degli atomisti, di Democrito, di Talete etc, che Russo non considera scienza ma che colgono degli aspetti che poi la scienza convaliderà con il metodo dimostrativo che le è proprio; solo un caso o prima dell’epoca ellenistica (pre-scientifica) qualcuno aveva mezzi che noi non conosciamo ancora? Poi la rivalutazione di Leonardo, da genio considerato universale, a poco più che amanuense che copia manoscritti antichi senza sapere quello che sta facendo: urge assolutamente un libro che faccia chiarezza su degli aspetti fondamentali per (ri)valutare il genio(?) fiorentino.
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