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Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2015
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Un libro sulla vita e sulla morte, con tutto quello che ci sta nel mezzo, scritto con ironia e meravigliosa leggerezza, Un libro che ci aiuta anche a capire Israele e la vita quotidiana a Tel Aviv. Bellissimo e consigliato.
Molto al di sotto di quello che mi aspettavo. Poca ironia, noioso a tratti. Piatto a momenti.
Chissà se è stato il proliferare delle scuole di scrittura e di poesia che ha reso la produzione letteraria contemporanea tanto omogenea (omogeneizzata?), banalmente noiosa, impersonale e intercambiabile, o invece il suo appiattirsi su modelli e moduli da serial televisivo, fiction domestica a tinte evanescenti; o ancora la femminilizzazione edulcorata degli stili di vita, dei sentimenti, del privato che si fa pubblico e viceversa... C'è da chiederselo, leggendo libri come questo del celebrato "giovane" scrittore israeliano Etgar Keret ("un genio", l'ha definito il New York Times), assolutamente preconfezionato secondo i dettami dell'editoria salottiera, vendibile-usufruibile-dimenticabile come la maggior parte dei prodotti di mercato declamati nei festival, nelle kermesse, nelle trasmissioni comuni ormai a tutto il pianeta. Una sorta di "Lessico famigliare" meno elegante, meno introspettivo di quello ginzburghiano, cinquant'anni dopo: in cui Keret ci racconta del suo microcosmo domestico, con qualche spiritosaggine ma rara ironia, a partire dalla nascita di suo figlio Lev (dei progressi evolutivi del piccolo, degli entusiasmi e delle delusioni dei suoi genitori). E poi della sorella ultraortodossa, del fratello geniale e fallito, dei compagni di scuola persi e ritrovati. Della moglie, della mamma, del papà. E di sé, dei suoi viaggi intercontinentali per presentare le sue pubblicazioni, dei rapporti con gli editori e il pubblico. Sullo sfondo di una Tel Aviv sempre in attesa di saltare in aria per un attacco terroristico, e perpetuamente in bilico tra odio razziale e religioso, paura, sensi di colpa, desiderio di vendetta: ma così, a spruzzatine incorporee, con ammiccamenti di superficie. Insomma, ridateci Oz, Grossman, Yehoshua. Ci sanno raccontare più cose, e meglio, dell'ebraismo e di Israele. E anche di se stessi.
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