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Anno edizione: 2016
Anno edizione: 2021
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(…) Si tratta di una selezione di scritti “occasionali”, per lo più recensioni già apparse su qualche rivista, che vengono rimontati e cuciti insieme seguendo fili tematici. Topi caldi si apre, sin dal titolo nel segno di Frank Zappa, che da sempre è per Bertoncelli un nume tutelare; del vate di Cucamonga vengono qui ripercorse le ultime tappe, a partire grosso modo dal 1988, fino alla morte (…); ma ci sono anche altri grandi protagonisti di quella generazione e di quelle successive. Belle ad esempio le pagine dedicate a Bob Dylan, che avvicinano il cantautore-che-non-c’è attraverso la lettura dei suoi libri e dei libri su di lui. (…) Più della metà dei musicisti di cui si parla in questo libro certo non hanno bisogno di presentazioni e costituiscono passaggi pressoché obbligati per uno scrittore della generazione di Bertoncelli (…), ma le pagine più interessanti sono quelle nelle quali recupera nomi meno noti o più sfortunati: qui ne troviamo una bella schiera, rubricata sotto il titolo, mutuato da Leonard Cohen, di Bei perdenti.
Forse il segreto di questo e degli altri libri di Bertoncelli è di natura squisitamente letteraria, come dev’essere per un critico che tra le principali influenze cita Tommaso Landolfi. Il più efficace collaudo di Topi Caldi non è quello di correre al proprio impianto stereo per riascoltare, per l’ennesima volta, il Banana Album dei Velvet Underground e verificare se davvero in Heroin ritroviamo i “fili scoperti e il cuore piagato, la voce smorfiata e il delirium tremens di viola e chitarre” che ci sente Bertoncelli. No, il miglior modo è piuttosto quello di leggere le pagine dedicate alle musiche che non conosciamo, e, lasciandoci guidare dalla scrittura, “immaginarci” che razza di musica potremo mai sentire, ad esempio, in Folk Blues and Beyond di Davy Graham, un disco del 1964 che a detta di Bertoncelli “faceva il periplo delle culture e dei generi, da Mingus a Dylan, da Broadway a Tangeri passando per i porti dell’Inghilterra marinara e il Delta del Mississippi”. In tempi di You Tube e Spotify può sembrare un esercizio autolesionista, ma non c’è miglior modo per apprezzare un libro come questo: leggerlo con l’immaginazione sbrigliata e, le orecchie attente.
Recensione di Luca Bianco
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