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Ti devo tanto di ciò che sono. Carteggio con Biagio Marin
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Ti devo tanto di ciò che sono. Carteggio con Biagio Marin - Claudio Magris,Biagio Marin - copertina
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Ti devo tanto di ciò che sono. Carteggio con Biagio Marin

Descrizione


«Ho bisogno che tu mi scriva, mi parli. Sei un padre, per me, e la tua parola mi ha sempre aiutato.» Claudio Magris

«Sì, così è: ti considero proprio come un figliolo. E sono orgoglioso di te.» Biagio Marin


Faceva ancora il liceo Claudio Magris quando nella Trieste degli anni Cinquanta conobbe Biagio Marin, figura leggendaria di intellettuale e maestro, ma soprattutto poeta luminoso, ammirato dai critici seppure ancora lontano dalla fama nazionale che sentiva di meritare. Il quasi mezzo secolo di età che li separava non impedì lo sbocciare di un’amicizia febbrile, coltivata per quasi trent’anni attraverso incontri e, sempre più frequentemente, lettere che qui si pubblicano per la prima volta, grazie all’appassionata cura di Renzo Sanson. Gli scambi tra i due testimoniano di un rapporto tra allievo e maestro fatto di stima e ammirazione: Marin aveva perso in guerra il figlio Falco, e riversò l’affetto di un padre su Magris, «figlio d’anima»; Magris in Marin trovò il suo modello di libertà. Rivelano un affetto fortissimo, ma testimoniano senza pudori di scontri, asprezze e incomprensioni, raccontando due vite parallele che si intrecciano e si ritrovano nel corso degli anni: Marin vorrebbe Magris suo erede esclusivo, pur sapendo che sarà impossibile, e soprattutto gli chiede di aiutarlo a conquistare quel riconoscimento che ancora pare sfuggirgli; Magris, soprattutto negli anni della sua formazione e della crescita intellettuale, gli chiede spesso consiglio e conforto, ma non esita a replicare l’eterno dramma del conflitto con il padre quando avverte il peso della personalità e della irruenza di un uomo non a caso chiamato in famiglia «fronte di tempesta». Attraverso pagine ricche di forza e di umanità, Ti devo tanto di ciò che sono disegna così l’inedita autobiografia di due grandi scrittori, l’uno espressione del Diciannovesimo secolo («voce di una generazione maturatasi prima della Grande Guerra, esperta delle crisi ma non incrinate da esse», nelle parole di Magris), l’altro proiettato nelle nevrosi e nelle inquietudini del Novecento.
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Dettagli

2014
30 aprile 2014
406 p., Rilegato
9788811687580

Voce della critica

  In attesa dell'uscita del secondo volume dei Meridiani, dedicato alle opere di Claudio Magris successive al 2005 e curato dalla sua principale studiosa Ernestina Pellegrini, sono apparsi quest'anno il saggio Segreti e no (Bompiani) e il carteggio con Biagio Marin a cura di Renzo Sanson. Nel saggio Magris (definito da Giorgio Ficara "metà scrittore, metà filosofo"), sviscera argutamente in una cinquantina di pagine il concetto di segreto, dal fascino che esso esercita sull'infanzia e sull'adolescenza in quanto possibilità di essere nell'incognito dell'immaginazione anche altro da sé, ai ben più inquietanti arcana imperii. In quest'ambito Magris affronta il sempre presente connubio fra segreto e potere, tanto più forte se quest'ultimo è posto nelle mani di un tiranno o di un dittatore. Nella sua brillante e godibilissima dissertazione l'autore non trascura neppure i fenomeni di costume, come lo svelamento del segreto costituito dal gossip o i pericoli sociali insiti nella pratica sotto-culturale dell'occultismo. Di più ampio respiro è il poderoso, trentennale carteggio di Magris con il poeta giuliano Biagio Marin (1891-1985), sapientemente curato da Sanson. A proposito del carteggio e della sua curatela, Magris si è così espresso in occasione della presentazione del volume al Salone del libro di Torino nel maggio scorso: "Questi anni di lettere sono un racconto essenziale della mia vita, dagli anni del mio liceo fino alla morte di Marin, nel 1985. (...) In mezzo ci sono stati l'università, il matrimonio, i figli: queste lettere raccontano il mio divenire. Il vero autore di questo libro però è Sanson, che riesce a far emergere il fascino di questa storia, un fascino interamente dato dalla grandezza di Marin. Sanson ama Marin, ma non ciecamente, di lui fa vedere anche i difetti". Il volume si apre con un corposo saggio del curatore che ripercorre e contestualizza il carteggio, anche grazie ai diari e ad altri documenti donati all'archivio dell'Università di Trieste dalla figlia del poeta Gioiella e dalla nipote Alia Englen. Seguono tutte le 264 lettere esistenti, finora in gran parte inedite, scritte tra il 7 febbraio 1958 (nei primi mesi di soggiorno di Magris al collegio universitario di Torino) e il 6 luglio 1985 (pochi mesi prima della scomparsa di Marin, avvenuta il 24 dicembre). A chiusura dell'intenso scambio epistolare, Sanson colloca un ampio dialogo-intervista in cui Magris integra quanto già riccamente emerso dalla lettura del carteggio. Per Magris, Marin non è stato solo un maestro ma "rappresenta la generazione di un'Italia 'civile' che forse esiste solo nella nostra immaginazione, ma di cui abbiamo fortemente bisogno". Nel corso della sua lunga e significativa collaborazione con il "Corriere della Sera", iniziata nel 1967 e via via profilatasi come fucina della successiva produzione narrativa, Magris dedicò a Marin un articolo già il 5 dicembre 1968. In Sull'orlo del mito egli riflette, a fronte di quella che definisce la pubblicazione di "un fiume di libri su Trieste", sul pericolo di concentrarsi solo "sul passato anziché esprimere un giudizio sul presente", valorizzando in modo adeguato l'allora "maggior poeta giuliano vivente Biagio Marin". Il 27 dicembre 1985 espresse il proprio sentimento di immensa gratitudine nei confronti del maestro appena scomparso in Grazie, grande albero su cui fiorì la poesia, che conclude con queste parole: "Gli diciamo grazie come si ringrazia un padre da cui si proviene e contemporaneamente un fratello con il quale si fa strada insieme e ci si scontra, ma anche un figlio che durerà più di noi, o come si dice grazie a uno di quei vecchi, grandi alberi tanto più duraturi di noi, che sono esistiti tanto prima ed esisteranno anche tanto dopo di noi". Probabilmente per rimediare alla sottovalutazione del poeta di Grado da parte della critica, nel 1970 Magris ne aveva curato per Einaudi l'antologia La vita xe fiama, di cui Pier Paolo Pasolini scrisse l'introduzione. Sul debito umano e culturale di Magris verso Marin hanno scritto pagine fondamentali, oltre a Pellegrini, anche Renate Lunzer, la maggiore studiosa dei rapporti tra la cultura austriaca e quella italiana. Nell'esaustivo volume Irredenti redenti. Intellettuali giuliani del '900 (Lint, 2009) Lunzer vede in Magris l'ultimo grande erede di quella cultura triestina perfetto amalgama di elementi germanici e italiani, ravvivati dallo stretto contatto con il mondo slavo, i cui principali portavoce furono, tra gli altri, Scipio Slataper, Carlo Michelstaedter, Enrico Rocca e appunto Marin. Si tratta di una tradizione di irredentismo (inteso quale amore per la cultura italiana) redento, vale a dire corretto, una volta crollato l'impero, dal recupero dei valori di fondo di quella Austriazität cosmopolita, vissuta con rimpianto da chi si ritrovò di colpo a vivere in un'Italia fascista ben poco favorevole alle ibridazioni culturali.     Giorgio Kurschinski  

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Conosci l'autore

Claudio Magris

1939, Trieste

Scrittore, germanista e senatore (nella XII Legislatura) italiano. Ha insegnato letteratura tedesca prima presso l'Università di Torino, poi presso quella di Trieste. Impostosi giovanissimo all'attenzione della critica con Il mito Absburgico nella letteratura austriaca moderna (1963, elaborazione della tesi di laurea), è stato fra i primi a rivalutare il filone letterario di matrice ebraica all'interno della letteratura mitteleuropea con Lontano da dove, Joseph Roth e la tradizione ebraico-orientale (1971). Danubio (1986), forse il suo capolavoro, lo consacra come uno dei massimi scrittori italiani contemporanei. Con questo libro vince il Premio Bagutta nel 1986 e successivamente il Premio Strega nel 1997 con il romanzo Microcosmi e il Premio Principe delle Asturie nel 2004 nella...

Biagio Marin

(Grado 1891-1985) poeta italiano. Filosofo di formazione (studiò a Vienna, Firenze e Roma, dove si laureò con G. Gentile), conobbe a Firenze i letterati della «Voce» e frequentò Slataper, Michelstaedter, Carlo e Giani Stuparich. Insegnò a Gorizia e Trieste, dove fu anche bibliotecario. Tutta la sua produzione poetica, fatta eccezione per la raccolta Acquamarina (1973, in italiano) si è sempre mantenuta fedele alla linea inaugurata nel 1912 con il suo primo libro in dialetto gradese, Fiuri de tapo. Legato da radici profondissime alla propria terra e ai motivi di una cultura arcaica marinara, ha costruito un’elegia che esprime l’amore, le gioie e i dolori dell’esistenza, le memorie del passato, con un canto tra il quotidiano e il magico, dove il dialetto acquista risonanze limpidissime per verità...

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