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1989
1 gennaio 1989
CXXVIII-766 p.
9788814019807

Voce della critica


recensione di Ranchetti, F., L'Indice 1991, n. 5

Se la capacità di confondere e di causare controversie, e di continuare a farlo dopo duecento anni, è segno e misura della grandezza di un'opera, è innegabile che quella di Adam Smith è straordinaria. Limitandosi al campo dell'economia, Adam Smith è stato considerato, ad esempio, sia come il padre fondatore del liberismo più estremo, sia come il responsabile delle radici del marxismo; ora come colui che ha ritardato per cento anni (dal 1776 al 1870) l'affermazione di una concezione scientifica dell'economia, ora come colui a cui si deve la fondazione di un'economia critica. Degli economisti, pochi lo hanno capito, molti frainteso, ma tutti - da Karl Marx a Milton Friedman - si rifanno necessariamente a lui, al punto tale che la storia del pensiero economico può essere vista come la storia dei modi diversi, anche opposti, in cui gli economisti hanno, di volta in volta, risolto, o almeno cercato di risolvere, i problemi posti da Adam Smith. Ma quasi tutte queste differenti "risoluzioni" hanno una caratteristica comune: l'opera di Adam Smith, grandiosa e complessa tanto nel disegno ("fornire un sistema completo": diritto, etica, economia, storia e politica) quanto nell'esecuzione, viene ridotta a un'unica dimensione, quella economica, e questa ulteriormente appiattita a poche idee, pochi principi che la esaurirebbero. In generale, per gli economisti moderni e contemporanei, tutto ciò che esce dallo stretto recinto in cui essi hanno rinchiuso il pensiero di Smith genera disorientamento, o imbarazzo, e pertanto viene solitamente ignorato, o lasciato ai filosofi. Ma, ed è proprio il punto che si proverà ad argomentare in queste poche pagine, questo atteggiamento è del tutto improduttivo, non solo, e ovviamente, ai fini di una comprensione dell'opera di Adam Smith, ma soprattutto ai fini di una maggiore comprensione del significato, e dei limiti, dei principi stessi su cui l'economista contemporaneo fonda normalmente il proprio discorso.
La pubblicazione integrale, per la prima volta in italiano, a distanza di più di duecento anni dalla sua prima edizione (1759), della principale opera non economica di Adam Smith, la "Teoria dei sentimenti morali", e delle cosiddette "Lezioni di Glasgow", ossia della trascrizione ad opera di studenti delle lezioni sul suo "sistema", tenute da Adam Smith in quell'università scozzese negli anni accademici 1762-63 e 1763-64, è dunque un'occasione d'oro per gli economisti, ma non solo per loro, per rileggere, nella sua interezza, l'opera di Adam Smith e, auspicabilmente, ricavarne lo stimolo per uscire da abituali, e ormai fossilizzati modi di pensare.
Affrontiamo subito la questione centrale del pensiero di Adam Smith, quella dello scambio - il fatto stesso da cui la scienza economica comincia. Nelle primissime pagine della "Ricchezza delle nazioni" si afferma che, nella società civile, in cui si è sviluppata la divisione del lavoro, noi otteniamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno soltanto attraverso lo scambio. Ma, prosegue l'analisi di Smith, affinché questo si realizzi, noi dobbiamo rivolgere a nostro favore l'egoismo altrui, "dimostrando" agli altri quali vantaggi essi otterrebbero accettando ciò che offriamo loro in cambio di ciò che chiediamo loro: "dammi la tal cosa, di cui ho bisogno, e te ne darò un'altra, di cui hai bisogno tu, questo è il modo in cui ci procuriamo gli uni dagli altri la massima parte dei buoni uffici di cui abbiamo bisogno". E, immediatamente dopo, segue il passo senza dubbio più famoso dell'intera opera di Smith: "Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse. Noi non ci rivolgiamo alla loro umanità, ma al loro egoismo e con loro non parliamo mai delle nostre necessità, ma dei loro vantaggi".
Proprio fondandosi su questo, e altri passi simili, la teoria economica tradizionale, dominata da un'idea della società secondo cui essa è costituita da individui egoisti e razionali, trova in Adam Smith il suo padre spirituale. Ma, proprio nello stesso capitolo della "Ricchezza delle nazioni", solo qualche riga prima, viene fatta un'affermazione apparentemente del tutto stravagante: "Nessuno ha mai visto un cane fare con un suo simile uno scambio equo e deliberato di un osso con un altro osso". E il buon economista (in questo caso l'ottimo Cannan) commenta: "non è affatto chiaro che senso vi sia nello scambiare un osso con un altro osso". Ora, ecco il punto cui si voleva arrivare, ciò che l'economista tradizionale non comprende, ma dato il suo postulato di partenza (che tutti gli uomini sono egoisti e razionali) non può comprendere, è che vi sia un comportamento umano, cioè uno scambio (ché, infatti, gli animali non scambiano) non utilitaristico. Al contrario Adam Smith concepisce lo scambio come un'attività umana assai più estesa di quella che si riferisce, unilateralmente, allo scambio "nel mercato", in una società civile, cioè propriamente mercantile. Qui, nel mercato, lo scambio assume caratteristiche particolari, determinate dalla forma specifica che assume il rapporto di scambio; ma, per Adam Smith, a differenza degli economisti, è possibile concepire altre forme di scambio: scambi fini a se stessi, o il cui scopo è interno ad essi.
In uno splendido passo delle "Lezioni di Glasgow", Adam Smith fa vedere come gli uomini si scambino tra loro "pensieri sulla luna", cioè "osso contro osso", e in questa attività senza dubbio non economica (infatti, quale mai sarebbe, qui, il prezzo di un pensiero sulla luna?), trovano grande piacere. Dunque, per Adam Smith, la socialità non si risolve tutta nella dimensione economica: il modello "naturale" di ogni socialità è certamente lo scambio, ma lo scambio economico, ovvero lo scambio di merci, è soltanto un modo, un lato dell'essere scambista dell'uomo. Ora, il problema posto, ma come quasi sempre non risolto, da Adam Smith è quello del passaggio da uno scambio originario, non economico allo scambio quale si realizza effettivamente nel mercato, nella società "progredita e incivilita", in cui, da un lato si esprime la natura dell'uomo, ma dall'altro, la si annulla.
La grandezza di Smith sta proprio nel fatto di esprimere, e di non sapere risolvere, le contraddizioni che lo sviluppo della società civile metteva sotto i suoi geniali occhi. L'opera di Smith non fa che esprimere la frattura, costitutiva della società civile, tra un'etica che si vorrebbe fondare su rapporti "civili", come quelli che si hanno, ad esempio, all'United Oxford & Cambridge Club di Londra, e una economia che presenta, come diceva un grande allievo di Adam Smith, "lo spettacolo della dissolutezza, della miseria e della corruzione fisica ed etica" (Hegel). La grandezza di Smith sta nel fatto che egli rifiuta il suggerimento del suo amico Hume, ossia di applicare alla società nel suo complesso le regole di un club: per il filosofo-economista scozzese non si possono imporre al mercato "queste" regole.
Un'altra questione che viene grandemente illuminata dalla lettura di questi testi ora disponibili in italiano, è quella del significato che si deve dare alla razionalità dell'uomo (insieme all'egoismo, l'altro lato del postulato che regge la teoria economica tradizionale). Nella "Ricchezza delle nazioni" Adam Smith afferma che la tendenza naturale dell'uomo allo scambio, è "la conseguenza necessaria delle facoltà della ragione e del discorso. E qui si ferma. Ma, ecco la cosa interessante, nella "Teoria" e nelle "Lezioni" troviamo una trattazione molto più approfondita. Nelle "Lezioni", ad esempio, Smith afferma che il vero principio dello scambio è "quella inclinazione a persuadere che è così fondamentale nella natura umana". Poiché, dice Smith, noi trascorriamo un'intera vita nell'esercizio della persuasione, "è naturale che si pervenga ad un metodo veloce ed efficiente di fare scambi l'uno con l'altro" e, nello stesso tempo, ci si educhi a comandare e dirigere gli altri uomini. E ancora: "ci si sente a disagio ogni volta che qualcuno dissente da noi e perciò si cerca di convertirlo al nostro punto di vista... L'offerta di uno scellino, che ci appare dotata di un significato così evidente e semplice, in realtà costituisce l'"offerta di un argomento per convincere qualcuno...'". È chiaro che, collegata in questo modo alle arti della persuasione e della retorica (Adam Smith è autore, non lo si dimentichi, anche di una "Retorica", tradotta in italiano a cura di Salvucci nel 1985), all'educazione morale e alle regole sociali, la nozione di razionalità, e quindi anche di razionalità economica, che esce dal pensiero di Smith è ben diversa da quella di una certa tradizione economica. Le riflessioni di Smith sull'uomo che argomenta, ragiona e "pertanto" scambia, sul passaggio, indagato in questi termini, dalla società primitiva alla società civile sono molto più vicine a quelle di Wittgenstein ("Alla fine dei ragionamenti viene 'la persuasione': pensa a che cosa succede quando i missionari convertono gli indigeni") e a quelle di Keynes autore dei "Saggi sulla persuasione".
È dunque a questo Smith straordinariamente complesso, assai problematico, se non decisamente contraddittorio, economista e filosofo, retore e scienziato naturale, apologeta e critico della società civile, antiutilitarista empirico, razionalista ma di una razionalità tutta impregnata di una morale hegelianamente "ridotta" alla morale storicamente data, che si rivolgono il nostro interesse e le nostre passioni, e sono queste sue idee che più ci spingono a ricercare nuovi assunti da porre a fondamento del nostro discorso economico.
Le edizioni italiane delle "Lezioni" e della "Teoria" sono introdotte da due lunghi e ammirevolmente informati saggi: assai chiaro quello di Pesciarelli (autore di una importante monografia su Smith: "La jurisprudence economica di Adam Smith" del 1988), meno chiaro quello di Zanini (un esempio a caso: che cosa significa "l'ermeneutica morale smithiana posa su di un fondamento etico la cui perfezione possibile è inincidente rispetto alla medietà di un ordine umano"?). Le traduzioni sono curate: a quella delle "Lezioni" è premessa una nota alla traduzione di Vittoria Zompanti Oriani.

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