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scheda di Natali, F., L'Indice 1995, n. 9
La vera novità della "Storia del diritto americano" consiste nel non essere indirizzata esclusivamente agli addetti ai lavori. Nella letteratura statunitense moderna non mancano certo opere di ricostruzione storica del diritto, ma ciò che caratterizza la "Storia" di Friedman è la completezza delle prospettive di analisi: il diritto è analizzato come fenomeno sociale (n‚ ci si aspetterebbe un approccio diverso dal più grande sociologo del diritto nordamericano vivente). La storia che l'autore narra trabocca di fatti e di personaggi: grandi giuristi, avvocati e imbroglioni, riformatori e schiavi fuggiaschi. Tutti insieme contribuiscono a un avvincente racconto giuridico, che è la storia della nascita e della trasformazione di un diritto e del popolo che se ne serve. La novità del libro non è dunque estrinseca, ovvero non dipende dal fatto che esso tratti della storia del diritto americano dall'età coloniale sino al XX secolo e oltre, ma deve piuttosto essere ricondotta al genere letterario cui l'opera appartiene, sconosciuto alla cultura giuridica europea, non avvezza a una narrazione storica avente come protagonista il diritto nazionale. Proprio in questo modo di raccontare il diritto si rivela la differenza della concezione di Friedman rispetto alle statiche e formalistiche descrizioni care ai 'civilians'. Friedman riesce a restituirci l'idea che il diritto è il grande specchio della realtà: "Ordine ma anche giustizia, timore e insicurezza, ma anche senso di vuoto". In altre parole la storia del diritto non è solo storia di idee e istituzione, ma anche 'magistra vitae'.
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