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L' anima e la macchina. Cartesio, Heidegger, Derrida
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1999
1 gennaio 1999
VI-302 p.
9788814078552

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Urbano Claudia
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In questo libro la tecnica non appare né riducibile entro canoni prestabiliti di pensiero né contenibile entro i limiti della comune concezione “strumentale”. Essa si presenta invece come qualcosa che inaugura, nel seicento, un suo legame con la filosofia e che vuole quasi crescere nel suo grembo (come in attesa di modi nuovi del sentire filosofico). Ciò emerge con chiarezza nel secondo saggio su Heidegger, laddove la “questione della tecnica”, ovvero della sua essenza, non è separabile dalla problematica generale dell’Essere e lascia intravedere (con l'avvento della cibernetica, secondo la diagnosi del filosofo tedesco) il possibile compimento della filosofia stessa. Il titolo trae spunto dal dato di fatto, storico, che Cartesio avesse svuotata di senso la teoria greco-antica (e non solo) dell'anima (l’anima cosiddetta “triplice”). Voleva, il dualismo cartesiano, che la razionalità dell’ego cogito rendesse superfluo l'uso del termine “anima”, e che lo stesso accadesse potendosi teorizzare il corpo umano e gli animali come automi. Laddove, a voler bene intendere la cosa, teoria dell’anima rationalis e meccanicismo furono complici in quanto all'effetto storico-culturale, prima ancora che inconciliabili sul terreno dei principi. Ma il senso del titolo non si arresta a questo: sono “macchina”, cartesianamente, l’universo, l’animale, il corpo; macchina sono parimenti la “cellula” di Monod, la “scrittura” di Derrida, il “libro” di McLuhan, la locomotiva di Dessauer: traduzione in termini oggettivi di qualcosa prima ritenuto ben assimilabile all’uomo. E cioè il titolo si giustifica, più ampiamente, con uno schema - pure psicologico - per cui “macchina” (e anche tecnica) - è ciò che insidia un modello di autorità-interiorità del Soggetto, ovvero una sempre presumibile umanità (quale si ha nel linguaggio, nella scrittura, nelle arti in generale) e libertà. Minacciando anche forti trasformazioni ovvero, secondo l’equivalenza tracciata da Nietzsche, recando in sé infinito progresso ed infinita catastrofe.

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