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Provando e riprovando. Matrimonio, famiglia e divorzio in Italia e in altri paesi occidentali
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Dettagli

1990
9 marzo 1990
272 p.
9788815025005

Voce della critica


recensione di Manoukian, A., L'Indice 1990, n. 5

La rappresentazione delle strutture e dei vincoli familiari e coniugali di una società è spesso percorsa da complessi processi di idealizzazione, manipolazione ideologica e distorsione proiettiva da cui non sono immuni neppure studiosi di chiara fama.
Il precedente libro di M. Barbagli sulla famiglia ("Sotto lo stesso tetto", Bologna 1984) aveva cercato di contrastare, con dati originali ma anche attraverso rielaborazioni di molte ricerche svolte negli ultimi decenni, le false immagini con cui viene spesso raffigurata l'evoluzione storica delle famiglie italiane.
"Provando e riprovando" può essere letto come un'ideale continuazione di quel lavoro: l'intento è infatti quello di contrapporre alle apodittiche affermazioni sulla tenuta della famiglia tradizionale o sulla presunta ripresa della nuzialità in Italia (che di tanto in tanto compaiono su quotidiani e settimanali, ma anche su più autorevoli testi), un'immagine più circostanziata e documentata delle realtà coniugali e familiari nelle società occidentali contemporanee.
Va comunque notato che fra i due testi vi è una sostanziale differenza di impostazione. Mentre in "Sotto lo stesso tetto" si cercava, per quanto permesso dalle fonti, di studiare le strutture e le trasformazioni dell'insieme delle famiglie italiane dal XV al XX secolo (con approfondimenti specifici su alcuni gruppi sociali per i quali si disponeva di maggiori elementi conoscitivi), in questo ultimo testo l'indagine è rivolta a conoscere le punte di alcuni più recenti processi di trasformazione. L'intento è cioè di descrivere ed interpretare i comportamenti di quelle minoranze significative della popolazione che esplorano e sperimentano modalità nuove nella convivenza e nell'elaborazione della conflittualità coniugale e familiare.
È un'area - almeno in Italia - in gran parte inesplorata, in cui anche la terminologia descrittiva, il vocabolario è ancora in formazione. Il riferimento specifico all'Italia è necessariamente meno pronunciato; in modo molto più evidente che non nei secoli scorsi le trasformazioni nei modelli di organizzazione della vita privata interessano tutto lo spettro delle società occidentali. Le differenze tra paesi non appaiono così marcate e sono da interpretare piuttosto come anticipazioni o ritardi che non come espressione di specificità culturali o sociali.
Un primo indicatore di trasformazione nei modelli di comportamento coniugale è dato dal numero crescente di persone che cercano di "spostare, rinviare, allontanare, il matrimonio" in quanto contratto legalmente regolato. Si tratta di un fenomeno complesso che ha le sue manifestazioni più vistose nell'aumento dei giovani che vivono soli, nel prolungamento della permanenza dei figli in famiglia, ma soprattutto nel diffondersi di una prassi - variamente motivata - di convivenza 'more uxorio' che permette a due persone (generalmente di sesso diverso) di vivere insieme come se fossero sposati, ma senza gli obblighi (e i diritti) e il contratto sociale che la condizione matrimoniale comporta.
C'è chi ricorre a questa forma perché si trova 'ex lege' nell'impossibilità di vivere con la persona amata in altro modo, c'è chi pratica questa forma di convivenza per principio e c'è infine chi utilizza questa forma, un tempo illegittima e quasi impossibile, come situazione di prova, in vista di impegni matrimoniali più definitivi. I dati statistici che documentano questa nuova forma di convivenza sono ancora abbastanza incerti, ma mettono in evidenza realtà forse insospettate: un gran numero di queste convivenze sfociano, in tempi inferiori all'anno, nel matrimonio; altre si prolungano a vita. In ogni caso non sembra, stando almeno ai dati provenienti dalla Svezia, che questa convivenza prenuziale garantisca scelte coniugali più durature. In quel paese le persone che si sono sposate dopo aver convissuto 'more uxorio' hanno l'80% di probabilità di divorziare più delle altre (p. 35). Sono indicazioni parziali, che comunque mettono in guardia rispetto a troppo facili interpretazioni sui fattori che possono garantire maggiore stabilità matrimoniale.
Un secondo indicatore è rappresentato "dall'impennata nella curva dell'instabilità coniugale" (p. 49). In tutti i paesi presi in esame a partire dagli anni '70 e con percentuali di incidenza diverse, ma tutte in crescita, il divorzio sta divenendo una modalità sempre più ricorrente di scioglimento del matrimonio. Anche l'Italia sta lentamente incamminandosi su questa strada, con alcune particolarità che Barbagli analizza molto in dettaglio fornendo una massa di dati e di informazioni nuove ed inedite, provenienti da diverse fonti consultate direttamente: interviste a magistrati e avvocati, rielaborazione dei 'files' ISTAT sulle coppie che in Italia hanno ottenuto la separazione e il divorzio, esame delle sentenze di separazione giudiziale e di divorzio di alcuni tribunali italiani.
La comparazione tra Italia e altri paesi come è noto non è sempre agevole per la specifica disciplina giuridica che regola lo scioglimento matrimoniale nel nostro paese. La lunghezza della "via italiana al divorzio" influisce notevolmente su parametri quali l'età in cui si interrompe il legame coniugale e quella in cui eventualmente ci si risposa: forse - ma Barbagli non lo suggerisce - agisce anche come fattore disincentivante per le coppie con minor reddito e istruzione. A questo proposito in Italia, a differenza di molti altri paesi dove è vero il contrario, il tasso di divorzio sale con il crescere del livello sociale: i ceti sociali più bassi in questi anni sono quelli in cui più elevata è la stabilità matrimoniale. Le ragioni di questa maggiore o minore tenuta sono complesse e giocano fattori di tipo culturale-ideologico e di articolazione del mercato del lavoro, femminile in particolare. Il che spiega forse le consistenti differenze nei tassi di separazione e di divorzio nelle diverse regioni d'Italia: ai livelli massimi della scala in Liguria ed Emilia Romagna ed ai livelli minimi in Abruzzo-Molise e in Puglia.
Un capitolo importante nello studio dei divorzi è quello della valutazione degli effetti che essi provocano nelle condizioni di vita dei coniugi. Il dato ricorrente, pienamente verificato anche in Italia, è che il divorzio "provoca una diminuzione del reddito familiare sia per i mariti che per le mogli, ma molto più per le seconde che per i primi" (p. 92). In Italia in particolare la posizione di svantaggio delle donne sembra essersi accentuata per l'effetto perverso di una legge che, innovando in tema di divisione tradizionale dei ruoli maschili e femminili, pone in via di principio, gli uomini e le donne in posizione di apparente parità e uguaglianza, sia rispetto al dovere di mantenimento dei figli come di opportunità del mercato del lavoro: nel contenzioso che accompagna le cause di divorzio, di fatto i mariti si trovano sempre in posizione di maggiore forza. La monetizzazione della loro ricorrente rinuncia ad occuparsi dei figli costituisce l'occasione per mille ricatti ed umiliazioni di cui il sistema giudiziario di fatto si rende complice.
Non solo: anche l'istituto dell'assegno al coniuge più svantaggiato, in questo caso la donna, è di fatto sempre meno utilizzato. E questo nonostante la legge italiana abbia recepito un'importante innovazione nella definizione del patrimonio che i due coniugi nel momento in cui si lasciano devono dividersi: quella cioè di un patrimonio fatto non solo dei beni materiali ma anche di prerogative intellettuali, di acquisizioni sociali e di crescita personale raggiunte e rese possibili dalla collaborazione matrimoniale. Quel cosiddetto patrimonio invisibile al quale soprattutto le donne spesso contribuiscono in modo decisivo, ma sul quale, nel momento in cui il legame legalmente si scioglie, è sempre molto difficile vantare diritti.
Il terzo indicatore di trasformazione che Barbagli prende in considerazione è quello delle famiglie "ricostituite"; quelle famiglie cioè "nelle quali almeno uno dei coniugi è al secondo matrimonio" (p. 154). Questo tipo di famiglie molto più frequenti negli USA, in Germania, Canada, Svezia e Inghilterra, cominciano ad apparire anche in Italia e nel testo se ne fornisce in anteprima un dettagliato profilo. In particolare viene messo in luce un dato interessante dal punto di vista teorico e metodologico: questi assetti coniugali e familiari, quasi in controtendenza con la più generale evoluzione verso sistemi familiari e di parentela sempre più ristretti e semplificati, presentano una notevole complessità e articolazione di rapporti. Rapporti che non a caso non hanno ancora ricevuto delle denominazioni codificate e culturalmente legittimate. Due persone divorziate, ciascuna con dei figli avuti nel precedente matrimonio, quando si risposano danno origine ad un insieme parentale piuttosto articolato, nel quale si raddoppiano le figure e i ruoli: un padre e un quasi-padre; una madre e una quasi-madre, più nonni possibili. E chi si è risposato si trova per converso ad avere più figli di quanti ne ha messi al mondo, e così via in un crescendo di vincoli parentali in cui prevalgono i legami di affinità rispetto a quelli di consanguineità.
Il confronto tra gli indicatori di trasformazione individuati e analizzati da Barbagli e gli interrogativi e le previsioni sul destino delle istituzioni matrimoniale e familiare formulati alla fine degli anni '60 suggerisce l'ipotesi che negli ultimi due decenni non si siano sviluppate e affermate nuove istituzioni di convivenza (ad esempio si pensi al destino delle comuni). Convivenze 'more uxorio', separazioni, divorzi, matrimoni tra divorziati o vedovi, con o senza figli, erano tutte prassi già embrionalmente presenti anche nei decenni scorsi, anche in Italia. Nemmeno si può dire che i processi sopra ricordati preludano ad una fine delle istituzioni familiari e ad un abbandono delle prassi matrimoniali. Anche se i tassi di nuzialità sono in effettivo regresso, uomini e donne continuano ad intessere relazioni durature e a dar vita a delle famiglie legali o di fatto. Aumentano i divorzi ma la gente si risposa con maggior frequenza e si assume legami di parentela, a volte persino più impegnativi e onerosi al quelli apparentemente abbandonati.
Il fatto forse più nuovo che emerge dalla lettura e dall'interpretazione dei dati presi in esame da Barbagli è che negli anni più recenti il controllo sociale sulle relazioni sessuali e interpersonali è diminuito. Ciò che un tempo si consumava nel silenzio, nella riprovazione e a volte nello scandalo, ora è meglio tollerato, è legalmente possibile. Questo ha comportato un indiscutibile aumento di quella mobilità che potremmo definire matrimoniale o di coppia. Le persone hanno ora molte più possibilità di innescare, di vivere e di sciogliere relazioni di tipo coniugale.
Questo fatto genera non poche conseguenze, non pochi effetti collaterali, effetti di trascinamento patrimoniali, giuridici ma soprattutto psichici e culturali: per gli individui stessi che vivono questa esperienza ma anche per tutte le altre persone che hanno dei legami con queste coppie, ovvero figli, genitori, amici, altri parenti.
In alcuni paesi disposizioni di legge e orientamenti della magistratura hanno fornito indicazioni e prescrizioni su questi problemi, anche se molte questioni restano non affrontate e ignorate. In più punti del testo Barbagli non manca di sottolineare il cammino ancora da percorrere, soprattutto in Italia, nella legislazione, nella sensibilità dei magistrati ma anche più in generale nella sensibilità collettiva.
In contrappunto a queste analisi che danno rilevanza e spessore alle nuove, complesse e anche sofferte configurazioni dei legami coniugali e familiari l'ultimo capitolo di "Provando e riprovando" è dedicato agli "effetti benefici della famiglia coniugale". E non si tratta di un titolo ironico, bensì di un tentativo ardito di sottoporre a verifica empirica una tesi avanzata da alcuni studiosi del secolo scorso come Durkheim e Morselli: e cioè che la vita coniugale abbia un effetto positivo sugli individui e quindi sulla società. Barbagli sulla base di numerose e disparate ricerche svolte in diversi paesi occidentali arriva a verificare l'esattezza anche attuale di questa ipotesi: morti, malattie, incidenti stradali, suicidi, crisi psicopatiche colpiscono percentualmente in misura maggiore gli uomini o le donne non sposati che non le persone coniugate o che comunque hanno uno stabile rapporto con un'altra persona. L'interpretazione di questi dati a mio avviso non è così scontata, né semplice come le percentuali potrebbero suggerire. Per quanto i metodi statistici utilizzati possono essere affidabili pare legittimo un dubbio: che le differenze riscontrate siano da ricondurre a fenomeni più complessi di adattamento sociale e relazionale del tutto esclusi ed ignorati da queste analisi.


recensione di d'Amelia, M., L'Indice 1990, n. 5

All'origine di "Provando e Riprovando" vi è la curiosità febbrile per la complessa economia della vita coniugale e familiare che contraddistingue da anni l'attività intellettuale di Marzio Barbagli. A sei anni di distanza da "Sotto lo stesso tetto", Barbagli ritorna ad interrogarsi su come "sono cambiate le regole con le quali le famiglie si formano, si trasformano, si espandono, si dividono e scompaiono". Questa volta non guarda al passato ma al mondo domestico contemporaneo.
Quasi senza preavviso, nel giro di poco più di vent'anni, anche l'Italia, ci dice Barbagli, è "precipitata" nella modernità dell'instabilità coniugale. Un numero crescente di individui non passa più attraverso gli stadi della vita familiare in modo unitario, non affronta quindi con le stesse persone i vari eventi, dal matrimonio alla nascita dei figli, dalla giovinezza alla morte. Inoltre, vivere in coppia o fare figli attrae un numero progressivamente decrescente di uomini e donne. Rispetto a questo scenario Barbagli fa una scelta. Non sono i cambiamenti più radicali, di rifiuto vero e proprio del vincolo familiare ad attrarre la sua curiosità. Singles ostinati o madri renitenti, messi nel conto, vengono poi abbandonati e l'autore si dedica alle esperienze di "compromesso", indagando su tutti coloro che continuano ad includere coppia e famiglia nel loro orizzonte di aspettative, illusioni ed energie. L'indagine di Barbagli è in fondo un'altra possibile versione, più tecnica e disincantata, di "Frammenti di un discorso amoroso".
Se teniamo presente che anche nei più recenti "ritratti di famiglia" non viene fatta menzione di questa realtà, i meriti principali di questa indagine sono presto detti: aver distinto ed articolato i diversi spicchi del nuovo ventaglio familiare, averne sottolineato le variazioni nello spazio e nel tempo, portando gli elementi conoscitivi di base quali età e ceto sociale delle persone coinvolte. In un quadro rigorosamente comparativo. L'illustrazione e la presentazione della crescita dell'instabilità coniugale in Italia, i confronti con tempi e modalità che presenta in altri paesi chiamati in causa come 'first-comers', mi sono sembrati, in alcuni passaggi, troppo minuziosi. Per quanto una certa insistenza fosse inizialmente giustificata, tenuto conto del clima di rimozione collettiva, l'autore presuppone un gusto infaticabile per i piaceri della statistica comparata nei suoi lettori. Soprattutto ho l'impressione che tanto fervi comparativo non apporti, oltre un certo limite di informazioni, più niente alle evidenze che stanno a cuore a Barbagli; finisca anzi col dissolvere il senso stesso dei problemi affrontati dagli individui ridotti, come è inevitabile, nei dati demografici, ad un'unica variabile. Forse, promettendo nell'introduzione di analizzare anche "le conseguenze che questi cambiamenti hanno avuto sugli individui", Barbagli è stato un po' precipitoso. Con l'eccezione del capitolo dedicato alle conseguenze che separazione e divorzio hanno su uomini e donne - eccezione importante e sulla quale tornerò -, non si può dire che le considerazioni che Barbagli avanza, sia a proposito delle convivenze - fenomeno eterogeneo per sua natura -, che dei problemi più sostanziosi che marcano le famiglie ricostituite, rappresentino qualcosa di più di un inventario ragionevole di osservazioni del prossimo. Il Barbagli più felice ed efficace è, a mio parere, in altre pagine, laddove, sguinzagliato lo spirito polemico, riesce a trasformare il suo modo di procedere e di porre i problemi in una messa in discussione, intellettuale, politica e sociale, di ogni forma di certezza e volontarismo progressista. Barbagli non ci induce solo a prendere atto di come il ciclo di vita familiare sia cambiato anche da noi ma ci dice contemporaneamente che il nostro paese stenta ad acquisire una cultura di questo versante della modernità. Risultano preziose le sue inquisizioni sulle irrisoluzioni e vischiosità a cui approda il doppio regime di separazione e divorzio vigente in Italia; appaiono largamente condivisibili le sue preoccupazioni sulla mancanza di una adeguata formalizzazione delle regole sociali che circondano le nuove forme familiari. Non possiamo, infine, sottrarci all'assillo che anima tutta l'indagine, quello di reintegrare nell'autorappresentazione che la società italiana ha di sé stessa quanto finora è stato rimosso.
Non sono invece d'accordo con la priorità e l'ampio spazio che nell'indagine trovano le ricerche statunitensi. In primo luogo perché producono effetti distorcenti, dal momento che procedure e caratteristiche della instabilità non si sono uniformate del tutto - è lo stesso Barbagli a sottolineare le non poche specificità del caso italiano - a quelle degli altri paesi. Poi, perché qualche smentita al magistero dominante sulla ripresa delle logiche familiari tradizionali con cui l'autore polemizza vi è pur stata in Italia, soprattutto da parte delle donne, intellettuali e non. Penso a brevi saggi-inchiesta come "Quarant'anni in faccia" di A. Fani e V. Vannuccini (Rizzoli, 1981) dove, attraverso una piccola galleria di donne sole, nubili e divorziate, alcune delle 'sorprese' che riserva l'indagine di Barbagli sul post-divorzio - sottoprivilegiamento di alcune fasce d'età nel mercato matrimoniale, senso di disorientamento e labilità, difficile equilibrio - venivano lucidamente anticipate. Non sarebbe stato inoltre inutile dare un'occhiata alla rubrica delle lettere di alcune testate femminili, poiché da tempo le gabbie economiche ed esistenziali di cui parla Barbagli e che incontrano molte donne separate e divorziate vi hanno trovato più di un'eco. Questi ed altri segnali potevano essere, credo, ripresi. Una delle rare ricostruzioni della vita sociale che non espelle l'esistenza delle realtà di genere avrebbe così evitato di scivolare in altri vizi della cultura "progressista" italiana: lo scarso collegamento tra uomini e donne nella riflessione e nelle forme di indagini e il riconoscimento di anticonformismo intellettuale solo nel caso del "femminismo" di oltre Atlantico.
Vorrei infine accennare ad una certa ambiguità di fondo che sovrintende al ragionamento di Barbagli. Sul fatto che i sentimenti più vivi dell'autore vadano - alla Durkheim - in direzione della coppia e della famiglia coniugale, mi sembra si possano nutrire pochi dubbi; questi vengono poi fugati dalla lettura dei vantaggi che possono rivendicare, in termini di chances di sopravvivenza e di benessere psicofisico, i coniugati rispetto a singles e divorziati. Sempre che i dati riportati da Barbagli risultino convincenti. Non sarò certo io a scandalizzarmi di questa opzione, credo solo che sia all'origine dell'andamento contraddittorio che ha a tratti l'analisi di Barbagli. Per circa metà del libro l'autore si dedica a sottolineare l'aspetto scardinante e destabilizzante che hanno le nuove forme familiari nei confronti di consuetudini e vincoli precedenti. Un'altra metà è dedicata invece ad imbrigliare e a ridurre la portata di questa rivoluzione e a farcela apparire come semplice variante di sequenze precedenti di formazione della famiglia.
Chi legge non fa in tempo a registrare quanto nella vita di coppia le considerazioni a breve termine abbiano preso il posto degli investimenti a lungo termine più diffusi nella famiglia di ieri, come il desiderio di vivere innovativamente le relazioni tra i sessi abbia la meglio sulla distribuzione dei ruoli, e come, insomma, stiamo imparando a contare più su noi stessi che su forme di interdipendenza reciproca, che Barbagli capovolge i termini del problema: attraverso per lo più la funzione rassicurante della citazione storica, ci porta di nuovo a dubitare che queste forme siano poi così diverse da quelle di ieri.
Non ci sarà al fondo, anche in Barbagli, traccia di quel bisogno di mitigare ed esorcizzare il nuovo di cui dà prove reiterate la cultura italiana in questi anni?

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