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Si può ancora parlare di giornalismo al singolare quando i giornali su carta non sono che solo una delle possibili (e sempre più periferiche) espressioni dell'agire comunicativo? Angelo Agostini, giornalista, studioso di media, professore universitario, direttore della rivista "Problemi dell'informazione", si cimenta nella difficile operazione di mettere un po' di ordine nell'evoluzione del mondo della comunicazione giornalistica in Italia per arrivare a ragionare sul senso che la professione ha oggi, nell'era dell'overload information, delle televisioni commerciali, delle tecnologie digitali.
La sua analisi si dipana attraverso un percorso storico volto a mettere in luce come il punto di rottura che ha dato forma all'attuale sistema dei media in Italia si situi a cavallo degli anni ottanta, fra la legge sull'editoria, che consente una decisa modernizzazione dei processi produttivi e una ristrutturazione delle aziende editoriali, e la creazione di una solida emittenza privata, che imprime una svolta commerciale e pubblicitaria ai soggetti che operano nel campo della comunicazione: da lì in poi il settore protetto e assistito dell'informazione, "un settore con valenze non industriali e con investimenti finalizzati a ritorni non tanto di natura economica, ma piuttosto politica e culturale", diventa un sistema centrale nell'economia nazionale.
Il primo snodo è questo: i giornali escono da una fase artigianale per diventare industria. Il giornalista incontra il manager, l'opinionista l'esperto di marketing, i direttori devono confrontare le linee editoriali con le necessità imprenditoriali. In un sistema dove esplode l'offerta informativa e di cui la televisione rappresenta il vertice, le imprese editoriali cambiano pelle e si lanciano alla ricerca di nuovi mercati, nuovi stili, nuovi prodotti: dai giornali locali alla multimedialità (ma nulla viene detto a proposito della free press o della stampa sportiva, fenomeni comunque notevoli nel panorama giornalistico), la bussola è ormai rappresentata dal profitto. Agostini analizza questi passaggi alla luce di alcune esperienze che si riveleranno decisive nel dettare la linea alle future evoluzioni dei giornali. Sono Scalfari e il successo di "Repubblica" sul piano sia del prestigio che delle vendite a imporre stili, linguaggi e formati che traghettano il giornalismo italiano al di là delle paludate formule del "pastone"; è un giornale, "Repubblica", che si fonda su un rapporto identitario con il proprio pubblico dei lettori, scelti all'interno di una precisa aera politica, la sinistra, postulando e costruendo un identico universo culturale e valoriale.
Un'ulteriore svolta è poi rappresentata dalla progressiva diffusione di Internet, analizzato nella duplice ottica di canale o supporto di contenuti informativi, e di strumento che ha rivoluzionato il lavoro tradizionale del giornalista. Se sul primo versante l'autore osserva una marcata diversificazione tra le formule del giornale cartaceo e del giornale online e nota come i due media siano non solo compatibili ma addirittura complementari nell'offrire un'informazione a un tempo tempestiva e approfondita, sull'altro aspetto lo snodo fondamentale è il riconoscimento delle nuove possibilità messe a disposizione della professione. Questo vuol dire che il giornalista deve sapersi confrontare con il programmatore e con il grafico, con i codici in Giava e con i motori di ricerca; si strutturano nuove figure professionali dotate di nuove competenze. Se con i primi media elettronici i giornali avevano perso il primato in tempestività, con Internet i giornalisti perdono il monopolio nella produzione dell'informazione. L'identità professionale del giornalista risulta trasformata, sfaccettata, svuotata dei contorni definiti che la mitologia professionale gli aveva sempre attribuito, e la fiducia con cui Agostini valuta l'impatto delle nuove tecnologie (nonostante le lucide critiche ai "profeti" del digitale alla Negroponte) lascia trasparire in filigrana la nostalgia per un giornalismo perduto, più semplice e artigianale.
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