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Nell'attuale realtà politica italiana, contraddistinta dal laborioso rodaggio del bipolarismo, Rifondazione comunista non può essere giudicata un partito di second'ordine: decisivo è infatti il suo ruolo, soprattutto per la capacità di rastrellare consensi all'interno della società civile e fra le mille anime di quello che oggi viene ormai comunemente chiamato, con termine certo improprio, ma efficace, il Movimento.
Dopo una serie di volumi dedicati dalla collana del Mulino "Partiti e sistemi di partito in Italia" alle varie facce dell'arena politica nazionale (c'è anche stato un contributo di Tarchi su An, nonché studi sui Ds e su Forza Italia), l'accurato studio di Simone Bertolino incrocia con esemplare acribia testimonianze, grafici e comparazioni al fine di illustrare genesi, evoluzione e struttura del Prc. Secondo l'autore, nel complesso spicca, quale fattore di debolezza nel partito in esame, una scarsa unità interna. Da qui proverrebbe la difficoltà a trasmettere un'immagine coesa di sé e della propria leadership, malgrado la scissione dai cossuttiani. Peraltro l'handicap, sembra dire Bertolino, se ha radici lontane, non manca di presentare sviluppi almeno in parte positivi. Come già emergeva con la massima chiarezza nel documentario La cosa di Nanni Moretti (1990), qui non richiamato, o nei libri di Ignazi e Ferrero, usciti tra 1992 e 1994, durante la fase decisiva, quella in cui le assemblee di base discussero la transizione dal Pci al Pds, il primo gruppo di Rifondazione, povero di quadri del vecchio Pci, venne a comporsi di cossuttiani, ingraiani, ex di Democrazia proletaria ed elementi della sinistra studentesca, all'insegna, scrive Bertolino, di una marcata "disomogeneità" (nonostante i dissidi, Garavini difese però con successo l'originaria denominazione del partito, che doveva evidenziare una spinta innovatrice rispetto a logori reticolati ideologici). Anche per questo, fin dagli inizi, nell'apparato organizzativo del Prc si registrò un'accentuata deprofessionalizzazione, quella stessa, si noti bene, che negli ultimi anni gli ha permesso un assiduo e proficuo contatto con molteplici settori della società civile: Rifondazione ha dunque fatto di necessità virtù.
Così, nel rapido giro di un lustro il Prc assurse a risultati lusinghieri. Fu in particolare dal 1996 che intese rendersi "partito antagonista di massa", capace di raccogliere la schiacciante eredità del Pci per adattarla a nuove esigenze, di autofinanziarsi costantemente, di reclutare molti giovani. Facendo però registrare anche un debole apporto femminile e una linea politica spesso settaria. Come negare che le cattive relazioni con la Cgil, ancor più dei dissidi con i gruppi politici del centrosinistra, siano controproducenti per la sua immagine? Ma il Prc non teme le mosse a sorpresa, e lo ha dimostrato al tempo della sfiducia a Prodi, una scelta che per Bertolino fu l'esito di lotte interne volte al controllo del "potere organizzativo" nel partito. Qui, Fausto Bertinotti risulta fra gli innovatori: decisi, questi ultimi, a far fruttare l'alto potenziale costituito da un mondo new global che necessita di radicarsi nel territorio, ma anche a favorire sia lo snellimento degli organismi centrali, sia il rafforzamento di quelli regionali, al fine di garantire dinamismo al partito, pur nel contesto di una "stabile instabilità" qual è quella della sinistra post Pci.
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