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Adottato per la prima volta da Tommaso Moro nel suo Libellus vere aureus nec minus salutaris quam festivus de optimo reipublicae statu deque nova Insula Utopia (Lovanio, 1516), il termine è passato a indicare un genere letterario che racconta di mondi immaginari, di uomini e società inesistenti, attraverso la finzione della loro realtà. Volta a volta, l'Utopia ha potuto significare o essere interpretata come mera narrazione fantastica di mondi irrealizzabili o delineazione escatologica di modelli possibili o critica delle istituzioni presenti o strumento per delineare un'idea del tempo. Emersa dal mito, e progressivamente demitizzata, l'Utopia, prima di trovare il nome, passò dalla Repubblica di Platone alla cultura medievale, per poi rinascere in età moderna, a partire da Morp, dando voce al radicalismo religioso così come alla visione tecnologica di Bacone e di Harrington, o alle risposte alla pressione della Controriforma, rilevabili particolarmente nella Città del Sole di Campanella. Con l'Illuminismo, il genere utopico acquistò crescente consistenza nelle opere di Morelly, di Rousseau (sotto le vesti del mito del "buon selvaggio"), di Meslier, di dom Dechamps, di Brissot de Warville, di Mercier. Con i fecondi sviluppi del socialismo utopistico (Saint-Simon, Owen, Fourier, Cabet), la ripresa utopistica conobbe una nuova stagione a cui seguì nel Novecento il genere dell'Utopia negativa o "distopia", presente nei romanzi di Wells, Orwell, Huxley, e nei cupi scenari del futuro spesso evocati dalla fantascienza. Di questo lungo viaggio dell'Utopia dai greci a oggi dà esemplarmente conto in rapida carrellata il libro di Comparato, che esamina il genere utopico nelle sue tante e cangianti valenze, fornendo al contempo un utile bilancio degli studi.
Dino Carpanetto
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