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La ricerca condotta da numerosi politologi del dipartimento di scienza politica e sociologia dell'Università di Firenze mira a valutare l'impatto provocato dalle politiche regionali avviate dall'Unione Europea a seguito delle novità introdotte dal trattato di Maastricht. È in ballo la gestione dei fondi strutturali. L'effetto che sembra derivarne è un sensibile rafforzamento del ruolo delle amministrazioni regionali. Soprattutto per l'applicazione del criterio del partenariato i processi decisionali hanno offerto alle regioni "l'opportunità di affermarsi come soggetti rilevanti del decision-making comunitario". Ma non tutte le regioni italiane sono state brave nella stessa misura. Sono suddivisibili in tre gruppi. Nel primo ad "alta proiezione esterna" figurano Toscana Lombardia ed Emilia-Romagna nel secondo sono comprese quelle più piccole e infine si individua un più variegato terzo gruppo. Si sono aperti nuovi spazi per i governi regionali ma anziché prender corpo una fantasticata "Europa delle regioni" sta profilandosi un'Europa che rafforza alcune regioni quelle più attive e capaci di farsi ascoltare. Paradossalmente politiche nate per favorire riequilibrio potrebbero accrescere le distanze se non si terrà conto delle sfide rivolte a un regionalismo di tipo nuovo che non ha niente a che vedere con la becera caricatura del federalismo leghista in salsa padana. Per contrastare o attutire esiti così contrastanti con i fini perseguiti devono essere tenute ben presenti "la rilevanza della dimensione della politics e l'importanza dell'azione condotta dagli attori politici istituzionali nelle varie fasi della politica di coesione e negli aspetti connessi ai rapporti con il livello sovranazionale". Conclusione ovvia per una ricerca molto ampia e sofisticata.
Roberto Barzanti
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