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468 p., f.to cm 21x14, copertina flessibile. Buone condizioni, pagine ottime 9788815110664.
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Il libro rappresenta un esemplare apologo della globalizzazione, di cui vengono dimostrati i vantaggi in maniera incontrovertibile. Wolf sottolinea l’influenza positiva di un’economia liberale e aperta sul benessere, sulla democrazia e sulla libertà personale, e confuta le tesi di chi si oppone alla globalizzazione. La causa primaria dell’ineguaglianza mondiale non è nell’integrazione economica, ma nella frammentazione politica e nella diversa qualità delle istituzioni. Il punto non è che c’è troppa globalizzazione, ma che ce n’è troppo poca. Potremo avere una globalizzazione più estesa solo se avremo governi migliori: la povertà e la disuguaglianza sono causate dagli errori dei governi e non dalla integrazione economica. Un vero dibattito, secondo l’autore, può scaturire solo dalla coscienza che l’integrazione economica è condizione necessaria anche se non sufficiente per la riduzione dell’ineguaglianza mondiale. I paesi in via di sviluppo che si sono chiusi all’economia mondiale hanno ottenuto gli insuccessi più clamorosi. Secondo Wolf l’economia di mercato è l’unico sistema in grado di generare una crescita permanente della prosperità in quanto fornisce le basi per l’esistenza di democrazie liberali stabili e permette alle persone di cercare di raggiungere ciò che desiderano nella vita. E l’economia globale porta con sé grandi benefici. Il libro è scritto con chiarezza e segue un filo logico semplice e stringente. Grafici e tabelle supportano le argomentazioni dell’autore, accompagnate da un’esauriente raccolta di note e riferimenti. Martin Wolf è chief economics commentator e associate editor del Financial Times. Alterna al giornalismo economico l’insegnamento e la ricerca: è visiting fellow al Nuffield College e special professor all’università di Nottingham. Durante gli anni Settanta ha lavorato come economista alla World Bank in Kenya, Zambia e India.
Recensioni
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Già funzionario della Banca mondiale, l'autore è associate editor del prestigioso "Financial Times". In verità, sotto la stessa copertina convivono, non troppo bene, due libri. Uno occupa le prime 168 pagine e le ultime 130 ed è una perorazione della causa della globalizzazione contro "fanatici religiosi, oscurantisti, ambientalisti estremisti, fascisti, marxisti e, naturalmente, i no global contemporanei". Come la citazione suggerisce, la passione prende la mano all'autore, con sfondoni tipo l'immagine del Novecento come un incubo dominato per gran parte dalle "ideologie collettiviste", ovvero "imperialismo, militarismo, socialismo, comunismo e anche fascismo". Per fortuna le rimanenti poco più che 150 pagine centrali offrono invece un'accurata ricostruzione delle ricerche e discussioni in corso, alle quali lo stesso Wolf ha contribuito direttamente lavorando in Kenya e India, sui processi di globalizzazione economica e sui loro effetti economici e sociali. Qui, anche se brillano per la loro assenza espressioni come "sviluppo" o riferimenti a figure di punta della ricerca in materia come Amartya Sen, le pagine si fanno più sorvegliate, popolandosi di cifre e di dati; il tono apodittico della parte iniziale e finale lascia il posto a formule come "probabilmente", "molto probabilmente" e "sembra"; ne emerge un'interessante e opportuna scomposizione del fenomeno della disuguaglianza, su più piani, tra aree del mondo e all'interno dei singoli paesi.
Ferdinando Fasce
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