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Un libro sull'inesauribile potere di suggestione esercitato da quella che Voltaire considerava la più bella favola che l'antichità ci abbia tramandato. Una favola che, per la sua straordinaria ed enigmatica complessità, ha resistito a ogni tentativo, per quanto abile, di interpretazione sistematica, sia che a essa siano stati applicati i secolari procedimenti ermeneutici dell'allegoria, sia che discipline più recenti come la psicoanalisi e l'antropologia, appuntando su di essa i loro strumenti, abbiano creduto di poter ricostruire coerenti simbologie celate dietro al velo della fictio. Lionello Sozzi, prendendo le distanze dall'atteggiamento demistificatorio di Barthes in Mythologies, pone l'accento sulla feconda poliedricità semantica del mito e si propone di studiare le metamorfosi della favola apuleiana come altrettanti tentativi per rappresentare, in forme storicamente diverse, il rapporto tra Anima e Amore, rapporto talora conflittuale, ma destinato a risolversi in un percorso di sublimazione e trasfigurazione.
Con eleganza ed erudizione impareggiabili, Sozzi passa in rassegna tutte le riscritture e le reinterpretazioni del mito, dal Quattrocento alla modernità, mostrando come gli innumerevoli e talora contraddittori spunti offerti dal testo apuleiano si prestino a sviluppi assai diversi, conformi agli interessi prevalenti di un autore o di un'epoca storica. Se l'Umanesimo e il Rinascimento, recuperando le complesse allegorie in chiave platonizzante o cristiana elaborate dalla tarda antichità, vedono più spesso nella favola l'emblema di un'ascesa contemplativa dell'Anima attraverso l'Amore, un monito contro le seduzioni della libido o ancora un invito di sapore neostoico alla constantia, il Sei e il Settecento ne valorizzano le componenti spettacolari e decorative, facendo cadere le pesanti impalcature allegoriche sotto la spinta di un edonismo mondano temperato di sensibilità. Ma si fa strada in questo periodo anche un'altra interpretazione, più inquieta, che La Fontaine e Leopardi lasciano in eredità alla poesia romantica e decadente: essa oppone il valore delle illusioni, l'incanto del desiderio e dell'attesa all'inevitabile delusione del possesso. Il Romanticismo, accantonando l'edonismo settecentesco, riscopre la lettura idealizzante del mito, facendone talvolta l'emblema dell'unione mistica dell'anima con il divino, talvolta interpretandolo in chiave storico-filosofica come percorso di caduta e redenzione dell'umanità nella Storia. In epoca decadente, questi ambiziosi sforzi esegetici lasciano il posto a riprese più allusive e frammentarie, che piegano la favola a rappresentare i conflitti segreti dell'io. Il Novecento, infine, sistematizzando spunti già presenti in Apuleio, desacralizza la vicenda, immergendola in una realtà borghese e grottesca: in tal modo, implicitamente, demistifica la vocazione idealizzante del mito non senza manifestare una certa regressiva nostalgia.
Ricostruendo tutti i passaggi secondo una logica diacronico-strutturale, Sozzi riesce a inserire i singoli testi in un quadro complessivo che ne illumina a fondo le diverse implicazioni. L'opera è arricchita dall'analisi di alcuni miti affini tematicamente a quello di Psiche e da un minuzioso studio di Cinzia di Cuonzo sulla favola di Amore e Psiche nelle arti figurative. Federico Corradi
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