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L'università è a un punto di svolta epocale in tutto il mondo, ma qui da noi vive un'alba tragica. Parentopoli, baronie, sprechi, ignoranza calzata, demagogia ancora più calzata, onde ondivaghe di ogni età e corso, cattivi maestri, allievi strumentalizzati: è questa l'immagine dell'università alimentata dai media e dalla politica dell'immagine. "Dalla all'accademico!", è il grido di giornalisti, attori, opinionisti e tronisti, che, dai margini dell'alfabetismo, moralizzano. Coloro che vivono e lavorano quotidianamente nell'università si sentono – a ragione – offesi. Nelle pagine e nei filmati sull'università vi è una verità parziale e scandalistica. Come molti studi dimostrano, la qualità di una parte importante della ricerca italiana appare di ottimo standard internazionale. Se le risorse umane ed economiche dedicate alla ricerca appaiono deboli, la produzione italiana, almeno in alcuni settori, è infatti decisamente migliore di tali indicatori (cfr. David A. King, "Nature", 2004, n. 430). Con fatica, ma anche con successo, sono stati messi in piedi meccanismi di valutazione nazionale e di autovalutazione della ricerca e delle attività didattiche dell'università. Dove sta allora il vero: angeli o demoni, i baroni (e quei tantissimi lavoratori dell'università, baronalizzati per convenienza di genericità comunicativa)? Un osservatore malizioso potrebbe pensare addirittura a un attacco politico coordinato all'università per eliminare, assieme con la cultura, ogni ventata di autonomia, senso critico, opposizione… Non sarà che la rivoluzione culturale è il nuovo modello della destra, che ai contadini e agli operai ha sostituito i procuratori legali, le masse della televisione oppiacea, i pensionati rancorosi, la classe operaia ormai in paradiso?
Si e no. Purtroppo la classe dirigente dell'università non ha saputo cogliere, parecchi anni fa, il tempo dell'autonomia come un'occasione di cambiamento reale e ha continuato le sue pratiche masturbatorie e autoreferenziali. È giunta l'ora di fare una vera autocritica e, se il cinismo italiano indurrà gli accademici ad attendere che la bufera passi, come se fosse sempre che "ha da passà 'a nuttata", avremo tutti perso un'occasione veramente decisiva per la nostra società. Mentre i media, stanchi di università, inseguiranno presto altri mostri, tutto si ricomporrà, assestandosi in un equilibrio di profilo infimo. Non sono tagli gelmi-tremontiani (secondo un articolo dell'autorevole rivista scientifica "Nature Neuroscience", "current Italian administration has embraced the misguided attitude that scientific research should be treated as a purely business endeavour") a preoccupare veramente. È la crisi sociale, economica, morale che ci attanaglia e ci spinge ancora più in giù. La formazione universitaria è in trasformazione ovunque, e nei luoghi più avvertiti questo significa ragionare sui modi per formare la classe dirigente, ma anche più ampiamente la società attiva. La diffusione degli strumenti informatici, come le nostre nuove conoscenze sui processi cognitivi potrebbero definire nuovi obiettivi e nuovi modelli di università in Italia. Potrebbero… Certo, è sconfortante vedere le riflessioni della sinistra sull'università, sintetizzate in dieci generici punti, proprio da chi ha saputo fare così poco nel suo breve periodo di governo e sentire rivendicare un primato per la valutazione, quando poi quegli atenei che erano virtuosi per la valutazione risultano assai meno lucidi nel controllo del proprio bilancio. Con il prevedibile risultato che il nuovo decreto sulle università, con i suoi gracili provvedimenti, imposti da una grande mobilitazione studentesca e mutuati in molte parti dalle idee della sinistra stessa, verrà considerato un atto riformista coraggioso, accontentando rettori e opinione pubblica. Come dire, bastone e carotina…
In questo contesto il libro, curato da Capano e Tognon, due notissimi docenti con un'ampia esperienza politica, porta qualche ventata di speranza, con le sue riflessioni attente e i suoi dati sull'università italiana nel contesto europeo. L'analisi passa da un rapido excursus sui processi di autonomia delle università in Italia, e sulle basi giuridiche di tale autonomia, al ruolo dei docenti nelle élite politiche, alle riflessioni sui meccanismi di governo universitario. L'opinione è che "ci troviamo oggi in mezzo al guado di una società tecnologicamente evoluta ma istituzionalmente debole, dove la scienza non ha ancora assunto quel ruolo istituzionale e pubblico senza il quale viene fagocitata e poi distrutta dal mercato e da regole mercantilistiche non corrispondenti agli obiettivi sociali ed etici che le nostre società pretendono di darsi. Il male di cui soffre anche l'università italiana è dunque quello di una dissociazione tra un modello etico di rappresentazione del sapere, legato a ruoli, gerarchie, cooptazioni, meritocrazia, e un modello di tipo tecnologico lineare della conoscenza, indifferente ai fini e dunque conflittuale con ogni procedura regolativa e soprattutto indifferente alla qualità degli attori".
L'obiettivo esplicito del libro è quello di attirare l'attenzione verso forme più evolute di responsabilità nell'esercizio del potere nelle università, che derivino dal riconoscimento delle caratteristiche peculiari delle realtà sociali fondate sulla conoscenza. Si tratta del seguito ideale del libro curato da Giuseppe Tognon, Una dote per il merito. Idee per la ricerca e l'università italiane, il Mulino, 2006; cfr. "L'Indice", 2006, n. 10). Allora Enrico Letta si chiedeva "come si fa a programmare senza disegnare sulla sabbia e come si fa a realizzare ciò che si è scelto di realizzare senza scorciatoie e con il massimo consenso possibile della comunità scientifica". Il libro era stato chiuso prima delle elezioni che avevano portato Romano Prodi al governo, e con laica, ingenua fede, chiudevo l'articolo: "Quello che era programma ora dovrebbe diventare realtà, e così sia!".
Così non è stato, ma non si deve rinunciare e fuggire, bensì capire che le idee presentate sono buone e necessitano sia di realismo operativo, sia anche di una capacità di guardare avanti verso le nuove sfide della scienza, le frontiere delle scienze cognitive, le relazioni fra conoscenza e nuove condizioni socioeconomiche.
Aldo Fasolo
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