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Diarchia, policrazia, regno dell'antipolitica. Pur rinviando a modelli profondamente differenti tra loro, le principali interpretazioni dell'organizzazione e del funzionamento della dittatura fascista hanno contribuito a sconfermare l'immagine di un regime monolitico e normalizzato, caratterizzato dall'assenza di rivalità e dal raggiungimento di un perfetto equilibrio interno. Partendo dall'assunto che l'Italia di Benito Mussolini degenerò in un vero e proprio "caos sistemico", Loreto Di Nucci apporta nuovi elementi alla riflessione sulla conflittualità totalitaria: se declinata sul terreno delle relazioni fra stato e partito, essa può rappresentare una chiave di lettura dell'intero ventennio, il filo rosso attraverso cui ripercorrere non soltanto le differenti fasi in cui è plausibile scandire il percorso del Pnf (Partito nazionale fascista), ma anche le questioni identitarie connesse all'opera di costruzione e consolidamento del consenso.
L'antagonismo tra il partito e lo stato, sostiene l'autore, affonda le proprie radici negli anni precedenti alla marcia su Roma, quando il fascismo compì il proprio ingresso sulla scena presentandosi come una formazione che, contendendo alle istituzioni liberali il monopolio e l'uso della violenza, intendeva sostituirsi a esse piuttosto che competere per esercitarne il governo. A seguito della conquista del potere, il dualismo venne trasferito alla dittatura in costruzione e assunse progressivamente la forma di contrasti tra sottosegretari al ministero dell'Interno e segretari del partito al centro, e tra prefetti e federali alla periferia del sistema; contrasti che si aggravarono dopo la crisi Matteotti, malgrado gli assidui tentativi del duce e del suo entourage di subordinare il Pnf allo stato. Il ponderoso volume di Loreto Di Nucci ripercorre nel dettaglio le tensioni interne al regime negli anni della normalizzazione e della stabilizzazione totalitaria, ricostruendo l'attività delle personalità che si avvicendarono alla segreteria del partito e i loro rapporti con il capo del governo e la compagine ministeriale.
Se Roberto Farinacci (1925-26) si fece coinvolgere nelle lotte infra ed extra partitiche, e Augusto Turati (1926-30) e Giovanni Giuriati (1930-31) non furono in grado di garantire il disciplinamento di un organismo che vide crescere esponenzialmente i propri iscritti e le proprie competenze, i conflitti non diminuirono nell'era Starace (1932-39), investendo sempre più esplicitamente il terreno e i meccanismi del nation building: pur potendo fare affidamento su una presenza capillare e pervasiva nella società, il Pnf non riuscì a realizzare quella nazione di "uomini nuovi" che costituiva una parte essenziale del suo programma politico. Il fallimento dell'"utopia di una fascistizzazione integrale della patria" fu esacerbato dallo scoppio del conflitto mondiale, vissuto dalla maggioranza degli italiani come una "guerra di partito"; fino alla seduta del Gran consiglio del fascismo del 25 luglio 1943, durante la quale al rifiuto dell'evento bellico si sovrappose la sconfessione e l'implosione dello stato fascista.
Maddalena Carli
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