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Descrizione


Sulla base di un ampio corpo di testi scritti fra il Duecento e l'inizio del Trecento, l'opera offre una descrizione sincronica della prima fase documentata della nostra lingua, impresa mai tentata prima per l'italiano e raramente realizzata anche per le fasi antiche delle altre grandi lingue di cultura. La lingua antica, nei suoi livelli sintattico morfologico fonologico, viene sottoposta a un puntuale confronto con l'italiano moderno che va per più versi a smentire la diffusa convinzione secondo la quale tra le due fasi estreme dell'italiano non esisterebbero differenze essenziali. Dopo la "Grande grammatica italiana di consultazione" pubblicata in tre volumi fra il 1991 e il 1995 (II ed. 2001), Giampaolo Salvi e Lorenzo Renzi forniscono oggi un nuovo strumento imprescindibile per tutti coloro che sono interessati ad approfondire lo studio e la conoscenza dell'italiano.
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Dettagli

2010
6 maggio 2010
Libro universitario
2 voll., 1745 p., Brossura
9788815134585

Voce della critica

La Grammatica dell'italiano antico che, dopo una quindicina di anni di lavoro, esce in due volumi di ragguardevole ampiezza e per opera di più autori coordinati da Giampaolo Salvi e Lorenzo Renzi rappresenta un'opera di grande rilevanza scientifica. Essa è una descrizione completa dell'italiano nella prima fase della sua storia, il Duecento e il primo Trecento, sulla base di un corpus documentario definito: per le ragioni che riguardano la storia della nostra lingua, questa descrizione non può che essere quella del solo fiorentino di quel periodo, con pochi accenni ad altre varietà toscane. Il lavoro si distacca egregiamente dai pochi studi precursori o analoghi che, almeno nell'ambito dell'italiano e delle lingue romanze, sono stati prodotti e l'esempio più vicino, la Grammaire nouvelle de l'ancien français di Claude Buridant (2000), lavoro importante e anche isolato all'epoca della sua apparizione, risulta al confronto meno sistematico.
La radicale diversità di questa Grammatica rispetto alla tradizione, stabilita a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, delle grammatiche storiche non ha bisogno di particolare illustrazione. Della dicotomia saussuriana fra diacronia e sincronia, la Grammatica sceglie la seconda come suo posizionamento esclusivo e, come osserva in una prefazione affabile e nondimeno precisa Renzi, si pone come prima di una possibile e desiderabile serie di altre monografie sincroniche, che di periodo in periodo colmino il vuoto fra questa e la grammatica dell'italiano odierno, che Renzi ha già da tempo pubblicato con il titolo di Grande grammatica italiana di consultazione (il Mulino, 1988-1995; 2001). Come nella Grande grammatica, anche in questa la base teorica è costituita dalla linguistica generativa, con la "moderazione" concettuale e terminologica che già avevamo (tutti noi non generativisti o non linguisti tout court) con gratitudine apprezzato in quella. Un aspetto importante è la base di dati sulla quale è stato condotto lo studio, costituita da un corpus testuale cronologicamente definito e, nei limiti delle reali possibilità di intervento degli autori, accertato secondo i requisiti filologici che la linguistica delle fasi antiche, fondata sulla sola testimonianza dello scritto, impone. I testi sottoposti ad analisi provengono infatti dal corpus del Tesoro della lingua italiana delle origini (Tlio: http://tlio.ovi.cnr.it), prima sezione cronologica del vocabolario storico italiano (nonché uno dei rari progetti culturali italiani che, nonostante tutto, prosegue con efficacia il suo percorso). Non siamo però di fronte a una grammatica del corpus (che Renzi non ama, per la sua scarsa capacità teoretica), giacché il principio che regola l'ammissibilità di una costruzione non è statistico ma logico-binario (opposizione grammaticale/agrammaticale), seppure maneggiato con la prudenza che il caso della lingua antica impone.
Il rigore della Grammatica dell'italiano antico, la sua elevata capacità descrittiva sono fuori discussione. Quanto segue non la riguarda quindi direttamente, piuttosto riguarda lo spirito di sistema che la descrizione sincronica porta, forse inevitabilmente, con sé. Qui, per esempio, la disposizione storicistica e incorreggibilmente "particolare" e comparatistica del filologo vorrebbe trovare riferimenti e confronti "esterni", verso gli altri volgari italiani e/o romanzi o al limite verso il latino, allo scopo di contornare il discorso sul "sistema" con quello che c'era prima e intorno a esso. Non è questo il compito della linguistica sincronica, ed è vero, ma rispetto a questa esigenza la "vecchia" grammatica storica ha campo più facile, non dovendosi occupare troppo di limiti geografici e cronologici (l'oggetto è il singolo istituto, non quella fiera profumata e sfuggente che è la "lingua"), e, nella sua pratica singolare e particolare, priva di ambizioni sistematiche, conserva ancora il pregio di non definire in modo esaustivo il suo campo di indagine (che, a ben vedere, non si può mai fare se non con approssimazione).
C'è poi nell'analisi sincronica una sorta di forzatura nella definizione stessa dell'oggetto, inevitabile per il progetto descrittivo, pena il suo annullamento: qui, la delimitazione a un italiano che è poi il fiorentino è cosa in fin dei conti troppo grossa (anche se "necessaria"), giacché italiano è soltanto in prospettiva e tenuto conto della speciale "distorsione" letteraria della nostra storia linguistica. E questo anche se, nella vita di una lingua tanto poco nazionale quanto parecchio "artificiale" come la nostra (Kunstsprache come nessun'altra, almeno nella Romània), il Duecento e il primo Trecento sono forse l'unica epoca nella quale la lingua scritta è ancora soltanto un registro accanto agli altri e non un codice tecnicamente lontano quando non decisamente "altro" rispetto al linguaggio corrente. Da questo punto di vista, le altre tappe sincroniche della grammatica storica italiana preconizzate da Renzi saranno certamente più difficili da progettare, in particolare per quanto riguarda l'estensione geografica e stilistica del materiale da esaminare.
Walter Meliga

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