La questione che costituisce il nucleo centrale del saggio di Vittorio Coletti va riconosciuta, come evidenzia l'autore, nel "rapporto tra il romanzo e le sue patrie" e, più precisamente, nel "superamento delle distinzioni e delle proprietà nazionali del romanzo". Per affrontare tale argomento Coletti tematizza la nuova categoria letteraria di "romanzo mondo", ovvero quel romanzo che, avendo perso a causa della rapidissimo processo omologante detto "globalizzazione" i riferimenti che hanno per secoli caratterizzato le nazioni geografiche e culturali, interpreta e si rivolge al mondo occidentale nel suo complesso. Condizioni di questa nuova forma narrativa sono: la possibilità di essere ricevibile dalla cultura occidentale nella sua totalità, e quindi progettato per un lettore globalizzato; la conseguente assunzione, come temi portanti, di questioni transnazionali piuttosto maneggiabili e spesso riducibili a cliché; una lingua semplificata sia lessicalmente che sintatticamente tale da rendere il testo facilmente traducibile. La questione, come dimostra Coletti, è semplificabile in via astratta, ma nel concreto la genesi di tale processo è assai complessa e per certi versi paradossale. Ripercorriamo sinteticamente l'analisi storica proposta dall'autore. La letteratura, a differenza di musica e pittura da sempre codici universali e "globalizzati" è circoscritta e chiusa nei suoi confini, e questo, innanzitutto, per il primato che le categorie spaziali e temporali assumono nel testo narrativo, poi per ragioni linguistiche, e anche per la tipicità dei modelli culturali e psicologici. Per tutti questi motivi durante l'Ottocento e per i primi anni del Novecento il romanzo ha emblematizzato i suoi confini geografici, che hanno costituito l'inevitabile orizzonte mentale di ogni autore (questo anche perché, scrive Coletti, "il territorio linguistico-culturale da cui si poteva partire per conquistare il mondo va presto difeso dal mondo stesso che rischia di annetterlo cancellandone l'identità"). In seguito il rapporto e il legame con la nazione d'origine e, insieme, il concetto stesso di appartenenza mutano rapidamente: fra le due guerre il romanzo inizia a tematizzare il pericolo di perdere i suoi confini e in seguito patisce il lutto per averli perduti. Il processo non è quindi istantaneo, ma maturato nel tempo, graduale, e ciò che caratterizza il "romanzo mondo" è proprio prodotto da questa lenta separazione dalle origini più che indotto dalla necessità di globalizzarsi come adeguamento alla deriva culturale imperante. L'allentamento del legame con la lingua madre (che spinge molti a scrivere in lingue seconde), la necessità di delocalizzare le ambientazioni, la assolutizzazione delle coordinate temporali a favore di un non tempo, la ricorrenza di luoghi fittizi adattati a sfondo, vanno letti come l'esito della perdita progressiva del riferimento a uno spazio definito. Il fatto che tale processo entri in evidente contraddizione con quella legge che implicitamente ha regolato la forma romanzo, ovvero che più uno scrittore è "dei suoi posti" tanto maggiori sono le possibilità che diventi universale, motiva quella sorta di disillusa malinconia che percepiamo sottotraccia nelle pagine di questo importante saggio, che si innesta in un ampio dibattito condotto negli ultimi anni sulla forma romanzo, ma riuscendo a sganciarsi da parametri critici rigidi o rigidamente ideologici e guardando esclusivamente alla verità dei testi. Raffaella Scarpa
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