Già docente a Liverpool, Philip Bell suddivide la guerra del 1939-45 in dodici turning points: dalla battaglia dell'Atlantico (fondamentale, per l'approvvigionamento della Gran Bretagna) a Hiroshima, passando per la "battaglia delle industrie", l'epico scontro marittimo delle Midway, il D-Day, Jalta. Ogni tappa è a suo modo cruciale per il conflitto, sicché l'autore, senza cadere nelle sgangherate fantasticherie della "If History", più volte si domanda che cosa sarebbe avvenuto se avesse fatto segnare un esito differente. Molto ebbero a contare gli errori commessi dai generali o dai politici che li orientarono, in primis Hitler e Goering: lungo tutta la seconda fase della guerra, i due costituirono un'autentica zavorra per la Wehrmacht, forse l'esercito più potente fra quelli in campo; nelle operazioni terrestri, esso surclassava infatti con una certa facilità le truppe nemiche, anche grazie al micidiale carro armato pesante Tiger. Pur conservando un gusto per il dettaglio significativo, Bell armonizza l'accattivante piano delle ipotesi con una visione sistemica del conflitto, come quando richiama il crescente ottimismo degli americani propensi all'intervento davanti al progressivo maturare della vittoria inglese sulla Germania nel 1940. Questo genere di impianto, che di riga in riga si integra mirabilmente con il racconto dei fatti bellici, guida l'autore sia nel delineare, sia nell'oltrepassare l'orizzonte degli eventi: se Hitler non avesse sottovalutato la capacità produttiva dell'Urss (1200 carri armati al mese) e se le sue truppe non avessero fatto naufragare per l'eccessiva brutalità l'accoglienza positiva ricevuta in terra russa, l'Operazione Barbarossa sarebbe lo stesso andata incontro a un fallimento? Se gli inglesi non avessero fermato i tedeschi nel '40, gli americani avrebbero lo stesso deciso, pur dinanzi a Pearl Harbor, di accantonare il Neutrality Act, votato appena nel '37? E se questi ultimi, alla fine del novembre '41, avessero scongiurato il sempre più probabile attacco giapponese su Pearl Harbor, sarebbero poi ugualmente dovuti entrare in guerra, diventando subito la prima potenza sulla scena militare? Cosa poteva succedere, se i rapporti di Roosevelt e Stalin con Churchill, che si sentì messo da parte alla conferenza di Teheran (novembre-dicembre '43), si fossero incrinati? Ancora: se von Runstedt e gli altri avessero capito che gli Alleati non intendevano sbarcare a Calais, se il 6 giugno 1944 il generale Jodl avesse osato svegliare Hitler di primo mattino affinché impartisse tempestive disposizioni alle armate vicine alla costa francese, se gli americani non avessero minacciato in modo troppo ambiguo il Giappone, quando ormai possedevano la bomba atomica, ebbene, la guerra avrebbe sortito un esito identico? Va detto che, per tutta la brillante narrazione, Bell mantiene uno stile terso e un equilibrio olimpico. Nell'ultima parte, ponendo la sordina alle valutazioni morali, non resiste tuttavia alla tentazione di tirare le somme: per la singolare lucidità sul piano strategico e la ferma scaltrezza nelle trattative di pace, fra i protagonisti del conflitto più sanguinoso della storia a giganteggiare fu, questo è il verdetto finale, Iosif Stalin. Daniele Rocca
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