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1993: in ''Cento anni di psicoterapia [o psicanalisi, nelle ristampe] e il mondo va sempre peggio'' la coppia Hillman-Ventura espone cause, antidoti e rimedi solo nella prospettiva della ''psicologia architipica/-ale'', eludendo un'approfondita e dettagliata indagine d'un secolo di fallimenti. Era auspicabile un confronto incentrato sulla maslowiana ''piramide dei valori'', poiché basata sul ribaltamento degl'assunti terapici di partenza: attenzione rivolta non a psicosomatopatie ideoaffettive, bensì a modelli esemplari di successo. Sembrerebbe un approccio filosoficamente corretto: la "negativité sans emploi" ("negatività senza impiego"), il rigetto tanto della "negatio negationis" dialettica o "raddoppio del negativo" quanto dell'eterogenesi dei fini. Eppure anche l'approccio di Maslow rientra nella secolare lista di flop. Alcuni motivi sono ovvi, altri meno: senz'anelli di retroazione fra i vari stadi, ci si può percepire autorealizzati "in tutto il necessario tranne che nell'essenziale" (commiato frequente tra i suicidi). Al "be yourself" e al winnicottiano distinguo tra vero e falso sé Guzzanti/Quelo replicherebbe con "La risposta è dentro di te, e però è sbagliata". Raggiungere i propri obiettivi soggettivi quand'essi rischiano di svelarsi oggettivamente insoddisfacenti può suscitare un'angoscia insostenibile. Ma per disporre di parametri oggettivi bisogna aver risolto l'eterno problema dell'"analogia entis" e della "via eminentiae": aver individuato cosa ci sia mai di salvabile e salvifico in enti ed eventi per ampliarlo, estenderlo, amplificarlo, e/o viceversa aver compreso in cosa consista l'Assoluto monovalente positivo, univocamente benigno, e da ciò inferire l'intersezione col nostro qui e adesso. Il che non è ancora dato. Ergo?
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