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Un gran bel libro. Non capisco però il senso delle ultime 50 pagine. A seguito della morte di Anna inizia la parte ottava dove viene nominato Vronskij in mezza paginetta descrivendo il suo mal di vivere e per il resto lo spazio è occupato da Sergej Ivanovic con le sue riflessioni sui volontari che partono per il fronte e da Konstantin Levin nella sua tenuta in campagna che riflette sul senso della vita, boh.
Un coinvolgente e appassionante romanzo, in cui il geniale Tolstoj affronta, con rara maestria narrativa e straordinarie capacità di analisi sociologica e di introspezione psicologica, infiniti aspetti della condizione umana e sociale. Durante la lettura, mi sono chiesta più volte come abbia potuto un uomo di fine Ottocento conoscere e analizzare così a fondo la psicologia femminile non solo della protagonista Anna, ma anche di altre figure come Dolly per esempio. Leggendo il romanzo, mi sono sentita fin dalle prime pagine dentro le case, le stanze, di Karenin, di Levin, di Oblonskij, partecipe dei loro ambienti e delle loro dimensioni; ho vissuto con loro, fianco a fianco, le loro storie, le loro emozioni, i loro drammi e la loro quotidianità, e ho respirato le differenti atmosfere di Mosca, di Pietroburgo e della campagna russa, grazie ai mille dettagli, particolari, sfumature e sfaccettature raccontati dall'autore in modo sublime: un magistrale, eccellente e insuperabile narratore, in grado di trasportare il lettore all'interno della vicenda senza riserve. Il realismo di questo splendido romanzo mi ha condotto così profondamente nella storia che finire il libro mi ha addolorato. Volevo saperne ancora, capire cosa hanno pensato i personaggi del racconto della morte di Anna, continuare a dialogare con loro della tragedia che si era consumata, sentire le voci dell'amica e cognata Dolly e dell'amato Vronskij, di Levin e Kitty, e anche di Stiva e di Karenin. Volevo leggerne ancora e poi ancora. Ed è proprio il desiderio appassionato e profondo di non staccarsi da questo libro prezioso, e quasi di contemplarlo, che lo rende per me un'opera d'arte, un autentico capolavoro della LETTERATURA di tutti i tempi! Grazie Lev!
Un romanzo dalle straordinarie potenzialità, a parer mio non adeguatamente sfruttate. Tolstoj si serve di uno stile limpido e realistico ma troppo distaccato, e nel corso della narrazione ci illustra accuratamente questioni politiche, realtà agricole, scenari e situazioni fedelmente ritratti, dicendoci molto ma riuscendo a trasmettere ben poco. Il romanzo risente innanzitutto dell'eccessivo ricorso alle digressioni: digressioni interminabili che Tolstoj non si preoccupa minimamente di integrare nel testo così da renderle parte attiva della narrazione e catturare l'interesse del lettore; egli pare piuttosto dar vita ad un esaustivo ma asettico compendio dei propri interessi e delle proprie competenze, talvolta noioso e superfluo, che finisce col relegare in secondo piano gli aspetti centrali della trama, di cui molto, troppo, è lasciato all'immaginazione del lettore. Il risultato finale è quello di un'opera imponente, ma talvolta confusionaria, ricca di moltissime tematiche che stentano a collegarsi le une alle altre e che, soprattutto, piuttosto che arricchire la storia, finiscono col penalizzarla. La lettura, indiscutibilmente densa di spunti di riflessione, offre diversi bei momenti, ma in linea generale risulta preponderante il senso di insoddisfazione. Una nota positiva merita l'analisi introspettiva effettuata da Tolstoj. Su tutti i personaggi, oltre all'egoista e tormentata protagonista, spiccano il marito Aleksej Aleksandrovic, e il co-protagonista Levin, alter-ego dell'autore.
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