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Anno edizione: 2009
Anno edizione: 2013
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Leggendo questo libro si ha proprio l’impressione di ascoltare un amico. Vittorino Andreoli parla in questo scritto a una persona normale non ad un semplice etichettato “drogato”, come una condanna. Il discorso e’ rivolto a chiunque, quel chiunque e’ qualsiasi tossicomane, quel chiunque possa essere il lettore. Non parla da psichiatra, riduce al minimo le maschere, punta dritto agli occhi del cuore e della mente, ma non rifiuta di dare un aiutino da psichiatra, descrivendo la problematica in cui si e’cascati come la tossicomania, come una fobia-ossessione in termini psichiatrici come un fatale gioco di paure e metodi drogati per superarle come un circolo vizioso, il circolo vizioso della droga. (Potenza- febbraio 2009).
Recensioni
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Vittorino Andreoli riprende la formula della lettera pubblica (ricordiamo la serie di successi: Lettera a un adolescente, Lettera alla tua famiglia, Lettera a un insegnante) per affrontare un tema scottante e difficile, non più dibattuto come un tempo, a dispetto della sua gravità e diffusione: la droga e i danni che produce alla nostra esistenza. Le sostanze stupefacenti oggi vengono percepite come produttrici di stimoli di piacere, di successo, di migliori performance, e per questo c'è chi sceglie responsabilmente di utilizzarle. Andreoli, invece, difende sin dalle prime pagine il "diritto a non drogarsi" perché è convinto che sarebbe possibile soddisfare in altra maniera i bisogni umani, stando sempre dentro le relazioni e non mediandole attraverso una sostanza chimica, si chiami alcol o marijuana, cocaina o eroina, crack o ecstasy.
è possibile definire la droga, scrive l'autore, un'occasione di morte. Una morte eroica, come certi suicidi. Per evitare questa piaga sociale, Andreoli sostiene che l'uso delle droghe non possa essere considerato in alcun modo un affare privato, personale, come qualcosa che riguardi solo la privacy di chi la usa. Il consumo di droga non è da porre tra i comportamenti liberi. Primo perché già acquistarla significa compiere un reato, pagando uno spacciatore; secondo perché gli effetti delle sostanze psicotrope, modificando il rapporto di chi le assume con la realtà circostante, sono molto pericolosi anche per gli altri e per la società. è assurdo, secondo Andreoli, reclamare la libertà per poi diventare dipendenti di una sostanza, come lo è la richiesta di non sottostare alle leggi della società contro la droga. Il punto sul quale insiste lo psichiatra veronese è la perdita dell'identità, che viene mascherata, alterata dalle droghe e dalla loro capacità di realizzare una metamorfosi del sé e del mondo circostante. Anfetamine e cocaina, infatti, possono indurre un delirio che richiama quello della schizofrenia, modificando la biochimica cerebrale dapprima in maniera transitoria, per poi giungere a un funzionamento che ha bisogno della sostanza esterna. è necessario anche sconfiggere i miti del potere e dell'arricchimento facile, e della droga ad essi connessa, che renderebbe possibili sempre, e per tutti, performance di alto livello: Andreoli spinge il destinatario di questa Lettera ad accettare piuttosto la propria fragilità, intendendola come senso del limite e come risorsa per attivare la comprensione e l'amore per gli altri.
Un nuovo umanesimo della solidarietà, contro la "società drogata", è ciò che Andreoli auspica in queste pagine. Il desiderio, il legame, il doppio legame, la dipendenza: sono le tappe che riducono una vita a una polvere bianca, o a una siringa spuntata e contaminata. O anche, e non fa differenza, alla liturgia della canna o di un bicchiere sempre vuotato di alcol. Andreoli si ribella con tutta la sua esperienza a questa deriva dell'uomo contemporaneo e al suo Carissimo amico, vittima o indifferente di fronte a questa nuova schiavitù della droga, rivolge una lettera ricca di indignazione, passione e umanità.
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