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Prefazione di Fulvio Pierangelini.
Biscotti al miele, vitello speziato, vino alle rose: un ricettario dell’antica Roma potrà risultare forse lontano dai nostri gusti, ma difficilmente farà pentire i cuochi che vogliano cimentarsi nella preparazione di questi piatti.
Apicio è passato alla storia come il più grande esperto di gastronomia dell’antichità. Alle raffinatezze culinarie dedicò la sua vita e il suo ingente patrimonio, fino a ridursi in povertà e a suicidarsi.
Nei suoi piatti si mescolano cibi comuni (ceci, zucchine) ed esotici (struzzo, fenicottero), senza riferimenti alla quantità degli ingredienti o ai tempi di cottura. Più importante è la capacità di mescolare alimenti diversi, l’abilità nel generare un effetto sorpresa: la carne sembra pesce e viceversa; “a tavola nessuno riconoscerà quello che mangia”.
Il grande chef Fulvio Pierangelini fa sua tutta la cura e la fantasia del gastronomo romano: “È strano forse, ma quella casseruola le cui dimensioni devono essere perfette rispetto al contenuto, che borbotta lungamente su una dolce fiamma, trasuda sapienza, esperienza e savoir faire ed esige cure e attenzione come una ragazza che sa di essere bella”.
Se pure quella di Apicio è una cucina dichiaratamente elitaria, dedicata a chi poteva permettersi ostriche, aragoste e struzzi senza badare a spese, può fornire utili antidoti alla massificazione del gusto dei tempi nostri. Forse dalle prelibatezze del gastronomo romano verrà qualche suggerimento per sperimentare nuove ricette. Forse no.
A ogni modo, il palato moderno, stuzzicato da insoliti abbinamenti e stravaganti sapori, ritroverà l’amore per i cibi che traspare da questo libretto. E il “sacrificio” estremo di Apicio non sarà stato completamente vano.
Biscotti al miele, vitello speziato, vino alle rose: un ricettario dell’antica Roma potrà risultare forse lontano dai nostri gusti, ma difficilmente farà pentire i cuochi che vogliano cimentarsi nella preparazione di questi piatti.
Apicio è passato alla storia come il più grande esperto di gastronomia dell’antichità. Alle raffinatezze culinarie dedicò la sua vita e il suo ingente patrimonio, fino a ridursi in povertà e a suicidarsi.
Nei suoi piatti si mescolano cibi comuni (ceci, zucchine) ed esotici (struzzo, fenicottero), senza riferimenti alla quantità degli ingredienti o ai tempi di cottura. Più importante è la capacità di mescolare alimenti diversi, l’abilità nel generare un effetto sorpresa: la carne sembra pesce e viceversa; “a tavola nessuno riconoscerà quello che mangia”.
Se pure quella di Apicio è una cucina dichiaratamente elitaria, dedicata a chi poteva permettersi ostriche, aragoste e struzzi senza badare a spese, può fornire utili antidoti alla massificazione del gusto dei tempi nostri. Forse dalle prelibatezze del gastronomo romano verrà qualche suggerimento per sperimentare nuove ricette. Forse no.
A ogni modo, il palato moderno, stuzzicato da insoliti abbinamenti e stravaganti sapori, ritroverà l’amore per i cibi che traspare da questo libretto. E il “sacrificio” estremo di Apicio non sarà stato completamente vano.
Prefazione di Fulvio Pierangelini
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