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Anno edizione: 2011
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Tratti del miglior Pansa in questi ritratti della prima e primissima repubblica. Peccato per certi toni fallaciani che mi impediscono il punteggio pieno
Interessantissimo libro di Pansa, con un ritratto di tutti i più importanti uomini politici dal dopoguerra alla fine della prima repubblica.
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Giampaolo Pansa si definisce un orfano, o un reduce, della Prima Repubblica. Per motivi di età (ha settantacinque anni), e perché ha raccontato quella casta politica in moltissimi articoli su varie testate nazionali, dal Corriere della Sera, a Repubblica, alla Stampa. Quei partiti, quei leader, i capi di seconda e terza fila, sino ai peones, ossia i parlamentari di piccolo peso, sono diventati i soggetti più frequenti dei suoi pezzi, negli anni dal 1948 al 1989. Il giornalista piemontese su quei Cari estinti ha un'inifinità di ricordi personali che, messi in ordine in questo diario di viaggio, danno vita a un saggio sulla storia recente del nostro Paese, una storia di luci e ombre che ancora divide e fa molto discutere.
Come già aveva fatto nei suoi libri a proposito della guerra civile italiana, Pansa non si perde nel buonismo della retorica cara ai politici, narra le vicende raccontandole da vicino senza parteggiare per nessuno e con una schiettezza che può sembrare irriverente. Il libro, scrive, «esce in un momento di pericoloso marasma della nostra vita politica», quando «la Seconda Repubblica, nata sulle macerie di Tangentopoli, appare sempre sul punto di tirare le cuoia». Queste pagine, tra ricordi vivaci, aneddoti pieni di ironia, e un pizzico di nostalgia, cercano di rispondere alla fatidica domanda: è stata migliore la prima o la seconda? Dobbiamo rimpiangere Andreotti e Fanfani, Craxi e Berlinguer, De Mita e Spadolini?
Tra i ritratti sui protagonisti della Balena Bianca, come era chiamato il più grande partito italiano del dopoguerra, la Democrazia Cristiana, troviamo quello sul «pio Mariano» Rumor. Gran capo doroteo, fu segretario e presidente di ben cinque governi. Era un professore di letteratura italiana e latina al Liceo classico Pigafetta di Vicenza, un uomo timido e curiale, tenero di fuori, duro dentro. Di lui Montanelli scrisse: «Rumor è rimasto scapolo per impalmare la Dc, l'unica moglie che gli convenga». Pansa racconta l'incontro con Paolo VI, i tempi del suo dominio sul Veneto "bianco", con capi e sottocapi, poi la prova più dura: la strage di piazza Fontana. Rumor la affrontò in grande difficoltà, perché era giunto a Palazzo Chigi in un'Italia scossa dal '68, da caos, cortei e contestazioni. E in quel clima politico, quasi eversivo, Rumor si dimise.
Curioso è anche il ritratto di Enrico Berlinguer, segretario del più grande partito comunista dell'Europa occidentale, il Pci. Nel 1976 quel partito di massa sembrava più forte che mai: governava in tante regioni "rosse" e si preparava al sorpasso sulla Dc. In via delle Botteghe Oscure c'era il loro palazzo, il santuario di «re Enrico» e della nomenclatura: dirigenti, funzionari, impiegati. Il segretario, Antonio Tatò, incarnava il culto religioso, tutto sovietico, per il capo. Il «cesarismo di Berlinguer», come lo chiama Pansa, durò dal 1972 al 1984 e il segretario del Pci attraversò, con la sua aria timida ma fiera, da vero sardo, gli anni bui delle Br, dell'uccisione di Aldo Moro, e della competizione con i socialisti di Craxi.
Tra i cari estinti di Pansa trova spazio anche il primo premier laico della repubblica, Giovanni Spadolini, detto «Spadolone» o «Giovannone». Nell'87 una pubblicità elettorale diceva di lui: "è grasso, miope e con l'erre moscia. Provate a trovargli qualche altro difetto". Fu a capo del piccolo Partito Repubblicano Italiano di La Malfa, fu direttore del Corriere della Sera e presidente del Senato. Era uno storico, un bibliofilo, un erudito che metteva la repubblica parlamentare e le sue istituzioni al di sopra di tutto. Il suo mondo crollò con il pentapartito, nel 1992, annientato dalle inchieste e dall'ascesa del partito di Berlusconi, Forza Italia. Pansa ricorda Giovannone e scrive che è «un uomo da rimpiangere. E anche un gigante, se confrontato ai tanti omuncoli di questo crepuscolo della Seconda Repubblica». Come a dire che certe volte, per recuperare un po' di speranza e ottimismo, bisogna guardare al nostro passato recente piuttosto che a un futuro zeppo di incognite.
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