Se la fortuna è nostra

La recensione entusiasta che ho depositato nei giorni scorsi va corredata da una doverosa postilla. Il libro nella seconda parte (meglio, a partire grossomodo dalla metà) risente di quella che io sospetto una latitanza dell'editor. Ci sono qua e là sbilanciamenti e reiterazioni che avrebbero potuto essere evitati, senza nulla togliere alla genuina bravura dell'autore. Il rischio che ha corso - quello di un sostanziale autocompiacimento - è molto comune e, purtroppo, se anche qualcuno della casa editrice lo ha assistito, non lo ha fatto in modo accorto. Picca, inamorato delle proprie viscere, le lascia sobollire troppo in alcuni momenti, e le annoda a dismisura intorno ai suoi morti, che non credo gli chiedessero una celebrazione (nella quale a tratti, malauguratamente, inciampa spesso verso la fine del libro), bensì un racconto schietto e alto, umanissimo e fedele, quale in molte parti è stato capace di fare. Un editing sapiente lo avrebbe potuto disciplinare e dosare, contenere, ristabilendo la giusta misura laddove l'autore tendeva a tracimare. Come nella scelta del finale, che vira verso un'anedottica intrisa di epos, poco credibile e - al meglio - retorica. Uno scrittore non è mai onnipotente e se lo merita va aiutato, a sfuggire se stesso quando necessita. L'ho pensato andando avanti nella lettura ed ho sentito di dirlo con sincerità, nel rispetto delle bellissime pagine di cui, pure, il libro è disseminato. E nel rispetto che ho per me stessa, come lettore.

Finalmente uno SCRITTORE. Chapeau. Intenso, profondo, lirico, autentico e d'indubbio spessore umano. Visionario, ma mai allucinatorio, semmai ispirato. Solido e al tempo stesso struggente. Potente. Misterioso come un relitto, denso come una colata di lava. Umile, addolorato, appassionato. Espropriato a tal punto di sè (com'è vero solo dei grandi talenti, che parlano proprio in quanto devastati dalla vita, qualunque essa sia) da poter finalmente restituire al lettore qualcosa d'altro. Grazie.