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Anno edizione: 2012
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Una lettura interessante (a tratti un po' noiosa)
Non è una semplice cronaca delle vicende di Alfredino Rampi e Roberto Peci. Non è un libro che narra della tragedia di Vermicino o degli anni di piombo. E' piuttosto una critica arguta e profonda sul il cambiamento del giornalismo (in particolare quello televisivo) e dei media. Queste due tragedie italiane hanno rappresentato lo spartiacque tra una TV fatta per il cittadino e la TV fatta per il pubblico in cui, per la prima volta, la tragedia privata diventa protagonista ed entra senza veli e senza pudori nelle case degli italiani al solo scopo di fare audience. Vermicino è la madre di tutti i Cogne, i Novi ligure, dei plastici, delle ricostruzioni macabre, degli inviati che si piazzano sul luogo della tragedia per filmare e intervistare il dolore. Della gente che accorre per vedere e per esserci, dei voyeurs che scrutano attratti dal macabro, dalla morte, anche se si tratta di sconosciuti, come fossero in un grande circo. E' il libro che racconta del cambiamento irreversibile della TV, di un certo tipo di giornalismo e di come il dolore, quello vero, diventa reality, diventa show da dare il pasto alla gente. Bravo Veltroni.
bel libro in cui vengono raccontati fatti di cronaca noti ma con alcuni dettagli inesplorati prima.
Recensioni
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"Sono le sette di sera di quel mercoledì. Alfredino sta precipitando nel buio della sua prigione. Roberto duecentoventidue chilometri e quattrocento metri più lontano, anche. Sono soli, come nessuno vorrebbe essere. Ma sul loro buio si sta per accendere la più accecante delle luci. Quella delle telecamere. Anzi, di una sola telecamera. Una, per ciascuno."
Forse tutti ci aspettavamo a questo punto un libro politico dell'ex Segretario del Partito Democratico.
Forse sarebbe stato il momento giusto per tirare le fila dell'esperienza di questi anni, passare il testimone, o riprendere in mano le redini, ma in ogni caso farsi avanti.
Invece Walter Veltroni dice "il libro politico c'è, ma sarà pubblicato più avanti".
Adesso è invece l'anniversario contemporaneo di due storie italiane - sociali e collettive che rappresentano due punti di svolta per l'intera nazione - ad aver colpito Veltroni: il trentennale della morte di Alfredino Rampi e dell'uccisione di Roberto Peci.
Due eventi che, in modo molto diverso, hanno inaugurato la stagione della spettacolarizzazione televisiva del dolore, del male, del buio.
Alfredo Rampi.
Chiunque sia nato anche solo pochi anni prima di quell'evento non può averlo dimenticato.
Tutti noi ricordiamo dove fossimo quando in televisione apparvero le immagini di quel pozzo di Vermicino in cui il piccolo Alfredino Rampi era caduto e tutti ricordiamo gli sguardi e i gesti dei soccorritori che si affollavano attorno all'apertura per cercare di salvare quella vita.
Ricordiamo anche di aver aspettato il lieto fine garantito, come negli sceneggiati televisivi. Tutti siamo stati bloccati, quasi impietriti davanti a quella prima diretta tv, a quel reality che non eravamo consci di star vivendo. A quella tragedia che credevamo farsa.
Veltroni, che ha dichiarato "quando racconti un pezzo di realtà devi entrarci dentro", ha parlato con tutte le persone - purtroppo qualcuno non c'è più - coinvolte in prima persona in quella vicenda per ricostruire un evento che sconvolse tutti: 13 ore di diretta tv che condussero gli italiani fino all'annuncio della fine del bimbo.
Ecco, Alfredo: il protagonista sembra perdersi nel vortice dello spettacolo, ma Veltroni ha cercato di immaginare proprio il punto di vista del bambino, prima fermo a 36 metri e poi scivolato sino a 60 metri, solo, immerso nel buio più profondo, incastrato e immobile, che resiste in quelle condizioni estreme mentre fuori si organizza il circo Barnum del salvataggio.
Alfredo, che ascolta i rumori - pensate quanto spaventosi dal suo punto di vista - della trivella che cerca di raggiungerlo rapidamente e invece incontra rocce più dure del previsto e poi del peso che cade dall'alto verso il basso.
Alfredo che sente che i soccorritori - certi di non poterlo salvare né dall'alto né dal basso -, decidono di scavare un tunnel orizzontale e forse capisce che la luce è vicina. Ma si scopre che il bambino non è, come pensavano, fermo a 36 metri, ma a 60. E tutto ricomincia da capo.
Alfredo, che per ore urla inascoltato e poi ascolta le urla di uomini sconosciuti che gli garantiscono "stiamo arrivando, ti stiamo salvando" e la voce della madre, personaggio da tragedia greca, che lo rassicura: "stai tranquillo".
13 ore di diretta tv che iniziano quando tutti sono convinti che Alfredo uscirà a breve. Arriva anche il Presidente Sandro Pertini: non può che essere questione di poco. E invece no.
Per la prima volta la televisione italiana organizzava il suo palinsesto in base a un evento, dando vita alla più grande esperienza psicoanalitica del Paese.
Nello stesso momento in cui Alfredo precipitava nel pozzo artesiano di Vermicino, due bimbi a Siracusa morivano in un altro pozzo. Ma lì non c'era la tv e nessuno di noi ricorda né il fatto né il nome delle piccole vittime.
Roberto Peci.
In quelle ore viene rapito un giovane uomo di venticinque anni che fa l'antennista e che vive un'esistenza tranquilla a San Benedetto del Tronto, ma che ha un fratello molto diverso da lui: Patrizio Peci, il primo pentito del terrorismo.
"L'infame Roberto Peci è stato fatto prigioniero da un nucleo armato della nostra organizzazione - comunicano le BR attraverso la voce di una ragazza che “lui conosceva bene perché fino a qualche mese prima era stata la fidanzata di suo fratello” - Dopo aver collaborato a lungo con i carabinieri dovrà rispondere al proletariato".
"Quel sequestro fu una delle pagine più orrende di quel tempo bastardo", scrive Veltroni. Anche qui le donne rappresentano la tragedia nella sua essenza. Sono la sorella e la moglie di Roberto, inascoltate dal potere politico e dai vertici della lotta armata dentro e fuori dal carcere.
Cosa avrà pensato nel frattempo Roberto, chiuso nel baule di una 127, al buio, percorrendo la strada che lo portava verso la prigione da cui non sarebbe uscito?
Certo non poteva sapere che la sua sarebbe stata la prima sentenza di morte annunciata in tv e che avrebbe ascoltato in diretta, nel corso del filmato girato su di lui, questa condanna.
Per "uno strano gioco del destino" come scrive Roberta, la figlia di Peci nata pochi mesi dopo la sua morte, "l'unica possibilità che ho avuto di sentire la voce del padre che non ho mai conosciuto è stata proprio grazie ai video del signor Senzani [Giovanni Senzani, figura ambigua del terrorismo con "buoni rapporti con servizi camorra e 'ndrangheta" condannato per l'omicidio, ndr], quello in cui lo accusa di essere stato un brigatista e di aver tradito un movimento in cui, come tanti allora, forse aveva sperato, senza aver il tempo di rimanerne deluso".
A cura di Wuz.it
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