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Riconosco a Pansa il pregio di avere uno spirito critico controcorrente (come dice Fred nella recensione prima della mia) ma non in questo libro. La prima parte dove rievoca la sua giovinezza è interessante ma troppo infarcita di riferimenti sessuali (sembra quasi un'ossessione) poi c'è la cronaca minuziosa di tutti i passaggi da una testata all'altra e delle mille conoscenze dell'autore. E il rompiscatole dov'è? Mi aspettavo (da persona di sinistra ma senza preconcetti) la narrazione dei mille torti compiuti da tanti partigiani in contrapposizione a quella dei fascisti ma non ce ne è traccia. Peccato.
Le vicende narrate sono tutt'altro che inedite, in quanto già raccontate in precedenti libri dell' autore (da Romanzo di un ingenuo a La repubblica di barbapapa). Ma il Giampa sa sempre scrivere e, soprattutto, come avvincere il lettore: se inizi un suo libro - anche, come in questo caso, tra quelli non riusciti meglio - non lo molli più fino alla fine. Gradevole
Anche questo ultimo libro di Pansa l'ho letto con grande piacere come d'altronde tutti i precedenti. La mente e l' umore si distendono e vorrei che le pagine non avessero mai fine. Mi piace il suo stile nel raccontare... E' vero che alcuni dettagli già li conoscevo avendoli letti nei libri precedenti, però per me non ha avuto importanza; il libro e i fatti narrati in esso sono sempre interessanti e fanno anche riflettere sul nostro recente passato! Grazie, dott. Pansa!
Recensioni
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Mi sono comportato come un tossico che organizza la propria esistenza su un comandamento solo: mettere sulla carta delle parole, con la presunzione che qualcuno, pochi o molti, siano disposti a leggerle.
In occasione dell’ottantesimo compleanno, Pansa si concede il lusso di dare alle stampe un’autobiografia, dedicata – oltre alla celebrazione di quasi cinquanta anni di carriera – alle figure dei genitori, di cui emerge un ritratto malinconico e delicato, a rivelare il lato più intimo e finora inedito dell’arcigno giornalista.
Figlio di Ernesto, taciturno operaio manutentore di telegrafi, e di Giovanna, una tenace donna che riuscirà a diventare proprietaria del negozio d’abbigliamento presso cui era dipendente, Pansa rivendica con orgoglio le origini umili, l’infanzia in provincia e gli sforzi dei genitori per permettergli gli studi, elogiandone lo spirito laborioso e la compostezza d’altri tempi, per cui, non è un mistero, il giornalista prova una gran nostalgia.
Sullo sfondo c’è l’Italia, o meglio il Piemonte, all’indomani del 25 Aprile, raccontata con insolita levità, lontano dai livori che contraddistinguono le opere revisioniste. Qui Pansa muove i primi passi verso la carriera giornalistica, folgorato sulla via di Damasco dall’incontro con una Underwood di seconda mano, una macchina da scrivere regalatagli dal padre che serve da pretesto per abbozzare una auto-ironica mitopoiesi dei precoci prodigi giornalistici. A intervallare le avide letture e i primi articoli nei settimanali del Monferrato, soprattutto recensioni cinematografiche, ci sono le altre grandi passioni di Pansa: le ragazze in carne, protagoniste di un intero capitolo, e la guerra partigiana, soggetto della tesi di laurea in scienze politiche e argomento destinato a cambiare la vita del giornalista.
Ed è proprio dedicato all’elaborazione della tesi universitaria l’ultimo capitolo dedicato alla giovinezza dell’autore, come se questo evento costituisse l’ingresso definitivo nell’età adulta e la perdita dell’innocenza, ma soprattutto una presa di coscienza di Pansa sulla missione che lo terrà occupato per il resto della sua vita e che contribuirà alla creazione del personaggio del rompiscatole, lo scomodo revisionista inviso ai rossi perché impermeabile alle magniloquenti narrazioni sulla Resistenza.
Nella seconda metà del volume viene invece raccontata la nomadica vita professionale di Pansa, scandita dall’incessante peregrinazione verso i più importanti periodici nazionali, dagli inizi alla Stampa fino a Libero, passando per il Corriere e Repubblica, un’occasione per i lettori di conoscere più approfonditamente le simpatie e antipatie per colleghi, direttori ed editori. Non mancano lunghe parentesi sui rapporti con il rimpianto Bocca, un altro personaggio scomodo ma dall’altra parte della barricata, e Scalfari, amato e odiato negli avventurosi anni alla Repubblica. Di grande interesse inoltre il capitolo celebrativo della lunga collaborazione con De Benedetti, di cui tesse un autentico elogio - lontano da accuse di piaggeria -definendolo il miglior editore per cui abbia lavorato.
Il Sangue dei Vinti non può che essere il protagonista degli ultimi capitoli, dove in Pansa fa capolino una nota di amarezza per essere stato demonizzato - a suo avviso acriticamente - dalla sinistra e dal mondo accademico, lo storico torinese Luzzatto in primis. L’autore ricostruisce le tappe fondamentali dell’accoglienza del testo e porta alla luce episodi, fin qui inediti, legati agli ostacoli incontrati durante la produzione della trasposizione cinematografica di Soavi.
A conclusione del volume il giornalista si mette a nudo, illustrando le reali ragioni alla base dell’autobiografia, ovvero la risoluzione di un complesso di colpa scaturito dall’incapacità di essere riuscito a conciliare i suoi due grandi amori, il giornalismo, vorace demone seducente che ha dominato ogni momento della sua vita, e la famiglia, per cui questo libro vorrebbe essere una sorta di risarcimento.
Autobiografia schietta, essenziale - come l’autore d’altronde - che non lascerà delusi i sostenitori e forse riuscirà a intenerire i detrattori.
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