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Dettagli

1993
Tascabile
3 marzo 1993
432 p.
9788817169134

Voce della critica

TJUTCEV, F‰DOR IVANOVIC, Poesie, Rizzoli, 1993
TJUTCEV, F‰DOR IVANOVIC, Mattino di dicembre e altre poesie, Mondadori, 1993
recensione Niero, A., L'Indice 1995, n. 1

È raro vedere un poeta russo antologizzato due colte in italiano a breve distanza di tempo. È capitato a Fëdor Ivanovic Tjutcev (1803-73), uno dei pochi lirici dell'Ottocento russo degno di stare accanto ad Aleksandr Puskin: due scelte di poesie curate rispettivamente da Eridano Bazzarelli e Maurizia Calusio. Bazzarelli ripropone la selezione che rappresentò l'esordio italiano di Tjutcev nel 1959 (109 poesie, editore Mursia), ampliandola di una quarantina di testi e premettendovi una corposa introduzione seguita da "Il cosmo e l'acqua in Tjutcev", comunicazione letta nel giugno 1992 a Gargnano sul Garda in occasione di un convegno sul poeta. La Calusio offre invece uno strumento più agevole (80 poesie), con un'introduzione più succinta ma non per questo meno meditata. Per un panorama completo su Tjutcev in Italia vanno anche segnalatele ormai introvabili "Poesie", Einaudi 1964 (introdotte da Angelo Maria Ripellino e tradotte da Tommaso Landolfi): l'edizione einaudiana valorizzava l'autonomia poetica delle versioni di Landolfi, ma mancava del testo russo a fronte che invece opportunamente - e al giorno d'oggi indispensabilmente - accompagna le due edizioni più recenti: Due antologie, due apparati introduttivi: se non opposti almeno complementari: Basta confrontarne gli attacchi. Bazzarelli: "La poesia di Tjutcev non può essere letta se non come un discorso profondo e coerente: non certo come una serie di paesaggi o di impressioni o discorsi: Il canzoniere di Tjutcev è, così, unitario". Calusio: "Per molto tempo la poesia di Tjutcev è stata letta soprattutto filosoficamente... Eppure oggi, spente polemiche e contrapposizioni di scuole e correnti, la sua poesia arriva al lettore così com'è, senza il peso di ideologie sovrapposte". Entrambi gli approcci sono "autorizzati". La poetica di Tjutcev si può certamente legare al romanticismo tedesco (Schelling) ed essere quindi suscettibile - senza però venirne totalmente assoggettata - di interpretazioni filosofiche. Ma può altresì vedersi come una serie di consonanze o dolorose dissonanze con la natura russa, raggiunte tramite impressionistici "frammenti" rimati (un frammento canonizzato in forma letteraria, come ha osservato lo studioso Jurij Tynjanov). Oltre all'indagine più propriamente filosofica, è possibile quindi un'assimilazione "privata" di Tjutcev. La quale richiede un lettore disposto a lasciarsi penetrare dalle folgorazioni paniche e dalle rivelazioni animistiche del poeta allorché questi inquadra in nitidi fotogrammi la natura colta nei suoi aspetti più vari. Tjutcev mira a sorprendere nel mondo circostante un ritmo eterno, atemporale; perciò molte sue liriche si collocano in quel privilegiato spaziotempo che la Calusio identifica nell'"istante della sospensione", ossia lo iato temporale che, immediatamente seguendo il passato e impercettibilmente precedendo il futuro, si configura come una sorta di "vero" presente. La natura scopre allora la sua ciclicità, si rivela "coetanea del passato" ("Attraverso i campi di Livonia"). L'uomo, invece, conosce tragicamente la propria mortalità, tempo e spazio lo opprimono: non gli restano che i rari attimi di unisono con la natura per fugare il senso di caduta continuamente rivelantesi. La stasi atterrisce Tjutcev, spesso costretto a imprimere movimento alle sue visioni poetiche. Di qui l'accalcarsi veloce di dettagli nelle sue liriche, la dinamicità e la voglia di immergersi nel flusso vitale della natura. Ne consegue una logica predilezione per l'elemento che più caratterizza tale flusso: l'acqua. In "Il cosmo e l'acqua" in Tjutcev Bazzarelli sottolinea appunto l'"idrofilia" del poeta, il suo debole per le accensioni idriche della natura. L'acqua non solo come elemento primordiale, ma anche nelle sue valenze metaforiche che ora richiamano il cosmo (o lo ricostruiscono nella geometria dei versi) ora il caos. Perché Tjutcev è anche poeta delle opposizioni (caos/cosmo, notte/giorno, gelido nord/affocato sud, luce/tenebre), abbondano poesie "speculari" nelle sue raccolte. Poeta della natura, Tjutcev ne percepisce a tal punto i vivi battiti da forare lo schermo della realtà empirica per spingersi al limite del visionario. Caratteristica che affascin• i vari Solov'ëv, Blok e Belyj, i quali rivalutando Tjutcev fecero di lui un precursore e profeta della stagione simbolista di fine secolo XIX. Tjutcev sapeva rendere palpabile il flusso vitale della natura nel "metro sensibile" della poesia. Andrebbero presi alla lettera versi come questi: "Non è ciò che pensate la natura: / non è un calco, una maschera inanimata -/ c'è un'anima in lei, c'è libertà / c'è amore in lei, - c'è lingua" (trad. Calusio); "La natura non è ciò che voi pensate; / Non è un volto cieco, senz'anima / In lei vi è anima, vi è libertà, / Vi è amore, vi è una lingua" (trad. Bazzarelli). Per quanto costretta (o forse proprio per questo) nelle forme rigide dell"ode microscopica", l'anima mundi della natura vibra davvero in Tjutcev, senza sovrapposizioni intellettualistiche o applicazione di principi astratti. L'immersione nell'alveo delle stagioni - o il sentirsene irreparabilmente avulso - si rapportano sempre e comunque a un mondo naturale che ha i tratti di un essere senziente, cioè capace di scoppi d'ira od orgasmi di piacere ("Temporale di primavera"), di torpori assolati ("Mezzogiorno") e freddezze lunari. In questo clima "antropomorfo" non a caso abbondano i congegni dell'oratoria (vocativi, imperativi, esortazioni) con cui Tjutcev, uomo infine condannato al raziocinio e alle stimmate dell'estraneità ("Villa italiana"), interroga la natura. Ma questa, verso la fine della vita, pare chiudersi in un amaro e beffardo sdegno. Una delle ultime quartine (1869) recita lapidaria: "La natura è una sfinge. E più sicuramente / Con i suoi artifici distrugge l'uomo, / proprio perché, forse, da quando c'è il mondo / In essa non c'è mai stato alcun enigma" (trad. Bazzarelli); "La natura è una sfinge. E più sicura / uccide l'uomo con la sua prova / ché forse in lei non c'è da sempre / enigma, n‚ mai c'è stato" (trad. Calusio). Non solo le pulsioni della natura stuzzicano la penna di Tjutcev: il suo "vizio" di incasellare in piccole architetture metriche quanto gli sollecitava l'animo vale anche per l'amore (bellissimo il ciclo di liriche per Elena Denis'eva), la politica, la poesia straniera (rimaneggiamenti e traduzioni libere). E forse nel suo leggendario e smentito dilettantismo, nel proclamato disinteresse per la propria produzione lirica, va inteso davvero un moto istintivo di "restaurazione", una difesa irriflessa dal disordine fuori e dentro di sé. Come? Con la provvisoria compiutezza del gusto poetico.

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