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Vineland - Thomas Pynchon - copertina
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Vineland

Descrizione


Vineland è un'immaginaria cittadina della California. Qui, nel 1984, vive Zoyd Wheeler, un hippy degli anni Sessanta, che una volta all'anno si butta attraverso una vetrina... Frenesi, sua moglie, bellissima ex attrice underground, scompare nel nulla... Prairie, sua figlia, è un'adolescente eccentrica e sexy... Intorno a loro un universo improbabile ma reale in cui si muovono figli dei fiori (violenti e no) e agenti dell'FBI (sempre violenti e stupidi), rockers e metallari, matti (veri e presunti) e intellettuali, guru e tv, politica e nostalgia... Una grottesca e paradossale epopea degli anni della contestazione: il romanzo-denuncia di un autore e di una generazione.
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Dettagli

2000
Tascabile
445 p., Brossura
9788817202725

Valutazioni e recensioni

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andrea
Recensioni: 4/5

Romanzo ambientato nella california degli anni di Reagan, di cui rappresenta un ritratto che evidenzia il declino della generazione e dei baby boomer.

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.nohcnyP samohT
Recensioni: 4/5

Noi siamo abituati a forme di narrazione convenzionale: Il buono ha il cappello bianco, il cattivo ha il cappello nero. Poi il cattivo rapisce la bella, e il buono va a salvare la bella sconfiggendo il cattivo. Il buono e la bella infine si baciano col tramonto sullo sfondo le la scritta in caratterizzi cubitali “THE END.” Nei romanzi di Pynchon gli eventi si ritorcono su se stessi, e i personaggi sono travolti dalle conseguenze delle proprie azioni, dalla concatenazione di eventi che vengono innescati e il tutto sfugge al controllo di tutti. Come nella vita vera dove non sappiamo mai cosa ci riserva il domani perché la vita si vive al presente, e del doman non c’è certezza, nessun The End prestabilito con bacio della bella e il cattivone di turno sconfitto.

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birzin
Recensioni: 3/5

Premessa: ho letto tutti il libri di Pynchon tradotti in italiano e pubblicati con la unica eccezione (per il momento) di Mason & Dixon. E questo è sicuramente quello che mi ha "divertito" di più, alcuni passaggi sono addiritura esilaranti. Mentre leggevo pensavo che anche l'autore si sia divertito tanto a scriverli. E' anche però un libro nel quale alla leggerezza di tali passaggi fa da contrappeso la sensazione di grande disagio associato alla sofferenza claustrofobica generata dalle disperate vicende dei personaggi principali. Coloro di voi che ricordano l'espressione "universo concentrazionario" possono capire ciò che intendo. La scena è avvolta in una densa cappa di impossibilità, di fatto una prigionia da cui è impossibile evadere se non attraverso l'esagerazione futuristica (nemmeno poi tanto) delle guerre spaziali di vari tipi di "trafficanti" - "dal delirio del potere mediatico agli zombie del mercato (i thanatoidi)" come dice Giuseppe. Non è un caso che si riscontri una tale profonda distanza tra gli estimatori (coloro cui il libro è piaciuto) e coloro che "non ce l'hanno fatta". Io penso che la data di nascita possa essere un indicatore di dove si trovi lo spartiacque. E' il solo libro di Pynchon che ho ritenuto -a torto- regalabile, ho ricevuto di ritorno solo complicati silenzi e clamorose proteste. A me è piaciuto tantissimo; l'altro suo (di Pynchon) in cui si ritrova quella leggerezza un po' scanzonata è senz'altro "Vizio di forma". Rimane inteso, comunque, che il grande (grandissimo) capolavoro - anch'esso, in fondo, un po' sconclusionato, è sempre "the gravity raimbow".

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Recensioni

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Voce della critica


recensione di Daniele, D., L'Indice 1991, n. 8

La fine della 'quest', la fine del viaggio della conoscenza nella città informatizzata è sempre stata al centro dei labirintici romanzi pynchoniani, sullo sfondo di metropoli pulsanti di segnali e foriere di equivoci. Rispetto all'urbanità costellata di false piste e di indizi poco probanti de "L'incanto del lotto 49", la verde contea di Vineland - che presta nome e scena rio a quest'ultimo, attesissimo romanzo di Thomas Pynchon - sembrerebbe rappresentare un'ecologica eccezione. Ma la valle di sequoie che brucia nella bella foto di copertina, assieme a quanto resta della cultura alternativa e delle comuni anarchico-pastorali che lì hanno trovato rifugio, ha ben poco dell'"ecotopia" e molto più della "riserva", del soggiorno obbligato di un'etnia dissidente in via d'estinzione spinta lontano dai campus della mitica rivolta dalle confische immobiliari e dalle campagne antinarcotici disposte dall'allora governatore della California, Ronald Reagan. Infatti l'azione si svolge, sotto un cielo sorvolato da aerei militari in continua esercitazione, nell'orwelliano 1984, che più di un recente passato è un futuribile malato di teledipendenza.
Il nuovo rompicapo - che l'autore affida a Prairie, diretta discendente della generazione dei figli dei fiori, di cui porta inscritto nel nome ("prateria") il sublime vagheggiamento di una terra libera e incontaminata dalle tecnologie - è proprio la sorte dei reduci delle proteste studentesche, le cui radici sono in un passato di lotte sindacali del quale, sotto l'effetto derealizzante dei media, si sta definitivamente perdendo la memoria. E siccome nel percorso cifrato dei racconti pynchoniani ogni nome diventa emblematico e ogni nozione astratta trova allegoricamente il suo corrispettivo antropomorfo, Prairie si ritroverà all'inseguimento di una donna inafferrabile come "V.": sua madre Frenesi Gates, un'ex regista underground che in tempi recenti si è trasformata in "pentita" in fuga da se stessa, pur continuando a evocare quella giovanile energia riposta in un sogno rivoluzionario che sembra essersi dileguato con lei.
La Frenesi dall'antico ardore combattivo è dunque nell'oggi una latitante figura del compromesso, che porta su di sé la responsabilità morale della caduta della Repubblica Popolare del Rock and Roll, spinta al doppio gioco dal fascino viril-fascista di un funzionario dell'Fbi. Ma la vera "infiltrata", che ibrida i comportamenti del popolo sotterraneo dall'eccentrismo già un po' marcescente, è la cosiddetta "società dello spettacolo", la quale insinua tra lisergisti e rockettari, tra motomaniaci e vegetariani, tra hippie salmodianti e cultori di discipline esoteriche, il "virus del linguaggio" mediale annunciato da William S. Burroughs, giungendo nell'utopica Vineland attraverso tv via cavo, autoradio ad alto volume, radiosveglie e troupe televisive.
La valle del dissenso, erede di un'antica tradizione democratica e situata dall'autore in un "tempo predigitale non ancora tagliato a tocchetti, neppure dalla tivù", è dunque destinata a trasformarsi nella "Duluth" di Gore Vidal? in una realtà virtuale uscita dai serial televisivi dove, come osserva con disarmante pertinenza un altro figlio di Frenesi, non si sa "come fare a capire quando sogniamo e quando no"? La radicata fede luddista della cultura underground, che Pynchon pare condividere nella sostanza - assieme alla pratica di mantenere segreti i suoi nascondigli e di rendersi latitante nella vita - non sembra lasciare grandi alternative. Tuttavia, l'autore evita le cupe conclusioni apocalittiche adottando una strategia di scrittura ironico-umoresca che pare in parte decostruire i suoi presupposti teorici. Infatti, pur continuando a distinguere il mondo "zoomorfo", e quindi ancora vitale, dell'intramontabile fricchettone Zoyd, da quello "thanatoide" dei teledipendenti, Pynchon immerge ambedue in una forma di "realismo magico", sospesa tra fatto e finzione, che è il prodotto della continua mediazione dei tramiti tecnologici. In altri termini, ciò che distingue la critica del progresso di quest'autore postmoderno da quella tardomodernista è che, mentre quest'ultima tenta di sottrarsi alla contaminazione creando mondi alternativi e labirinti autoriflessivi nella difensiva riproposizione del paradigma baudelairiano, Pynchon (e con lui altri autori come J.G. Ballard e Donald Barthelme), raccoglie la sfida tecnologica scegliendo intenzionalmente l'elettronica come campo metaforico privilegiato e facendo entrare nel racconto, accanto alla citazione colta e alle schegge di controcultura, il cosiddetto "transeunte", vale a dire tutto il 'trash' della cultura di massa: dalle marche dei prodotti commerciali alle canzonette, dalla pubblicità ai generi popolari come la fantascienza, e a tutte le mitologie artificiali che vi abitano. Forse in questo senso va letta la "transfenestrazione" di Zoyd in apertura di romanzo, il salto dell'outsider nella vetrina fantasmagorica che oggi è diventata teleschermo. Il suo attraversamento dei media, come la scrittura spuria di Pynchon, è un salto simbolico nell'entropia che non produce solo vuote repliche e derive di significanti, ma apre nuovi spiragli alla satira e alla critica dell'esistente.
In questa prospettiva fa benissimo l'abile traduttore Paolini, con lo stesso rigore con cui la critica pynchoniana si esercita da anni a decifrare il citazionismo letterario dell'autore, a sbrogliare acrobaticamente le sigle e i bisticci, i virtuosismi lessicali e i neologismi appositamente coniati da Pynchon per rimandarci a questo o a quel programma televisivo, al tale presentatore o al tale concorso a premi, insomma alle caduche realtà mediali che, oltre a far parte del nostro immaginario, rientrano a pari diritto nell'enciclopedica "poetica dell'allusione" pynchoniana.
E se a tratti si perde la mappa in quest'universo saturo di segnali, ma ancora denso di ambivalenze e di contrasti; se il racconto balza ellitticamente da un punto di vista all'altro, dal tempo della storia a un flashback improvviso, l'autore avrà raggiunto lo scopo di calarci nel ritmo nervoso e intermittente della ricezione televisiva, senza per questo suggerirci una resa al relativismo babelico o al presente "thanatoide" e pacificato che troppo spesso si scambia come l'esito inevitabile della cosiddetta "condizione postmoderna".

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Conosci l'autore

Thomas Pynchon

1937, Glen Cove, NY

Thomas Pynchon è uno dei maggiori scrittori del nostro tempo ed è considerato uno dei massimi rappresentanti della letteratura postmoderna. Schivo e refrattario, vive lontano dai riflettori e di lui si hanno solo pochissime foto. Si iscrive alla Cornwell University, ma abbandona per arruolarsi in marina. Ha pubblicato il suo primo racconto nel 1959 nella rivista dell'Università.È autore di un libro di racconti, Un lento apprendistato (E/O 1984-Einaudi 2007), e di vari romanzi: V.(Rizzoli 1963-2009), L’incanto del lotto 49 (E/O 1966-1998), L’arcobaleno della gravità (Rizzoli 1973-2007), Vineland (Rizzoli 1990-2000),  Mason & Dixon (Rizzoli 1998-2009), Contro il giorno (Rizzoli 2009), Vizio di forma (Einaudi 2011, da cui nel 2015 è...

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