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scheda di Pepino, G., L'Indice 1988, n. 4
Se il delirio è l'indicibile, questo lavoro lo ridefinisce sicuramente meglio come il non ascoltato, prima ancora che il non compreso. L'utilizzo di categorie etnopsichiatriche nella lettura del materiale clinico permette di cogliere, nell'esperienza del delirio, qualcosa che va oltre il significato puramente riparativo o ricostruttivo che, nella migliore delle ipotesi, a questo viene riconosciuto. Sicuramente questo testo è più una "intuizione di significato" che non "una ipotesi rigorosamente razionale", ma mi pare trasmetta bene la possibilità che la crisi sia ben di più che la semplice rottura negativa di un equilibrio. La crisi psicotica sembra qui proposta più nel senso della fisica nucleare, come momento critico, generatore di energie. È l'ipostatizzazione di questa crisi, che ne blocca le forze positive? È il delegare, il rinchiudere in alcuni l'intuizione del momento critico, che costituisce questi come portatori di non senso? Senza nessuna mitizzazione del delirio, senza concedere alcunché alla follia come liberatoria, l'esempio del delirio di fine del mondo di alcuni pazienti, al momento dell'apertura degli ospedali psichiatrici, ci rappresenta bene l'esperienza psicotica come tentativo di ricostruzione di un Io più elastico dopo la frantumazione di un Io troppo rigido. Il confronto con l'esperienza sciamanica ci suggerisce che, forse, se delirio è uscire dal solco, la patologizzazione di questa esperienza, non è, solo, implicita nei contenuti della stessa, ma legata al non riconoscerne il senso, da parte dell'altro. Suggestivi, ma meno rigorosi, mi sembrano i contributi rispetto alla lettura delle vicende riferite al "Peoples temple" di Jim Jones ed alla apocalisse di Davide Lazzaretti. Dispiace segnalare alcuni clamorosi refusi per cui il "mondo interno" diventa "il mondo intero"; fatti del 1850 vengono post-posti al 1950 e Pio IX si trasforma tranquillamente in Pio XI.
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